Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
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L’anima non deve vantarsi di essere più sacra nel corpo;
essa infatti può raggiungere
la sua compiutezza soltanto perché è discesa in esso e agisce attraverso le sue membra;
certamente anche il corpo non deve vantarsi di contenere l’anima;
se essa lo abbandonasse sarebbe costretto a decomporsi”
Buber,1990
CHE COS’È IL DISTURBO DELLA NUTRIZIONE E DELL’ALIMENTAZIONE?
I disturbi della nutrizione dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti che si riferiscono all’alimentazione e che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo con una compromissione significativa della salute fisica o del funzionamento psicosociale. Alcune persone che soffrono di questo disturbo a volte riportano di sintomi correlati all’alimentazione molto simili a quelli tipicamente manifestati da parte di chi usa sostanze nello specifico una difficoltà di controllare il desiderio associata ad una modalità di consumo compulsivo. In questi disturbi non rientra l’obesità, ritenuta come un risultato di un introito di calorie continuato nel tempo ed eccessivo rispetto al consumo individuale. Pur tuttavia nell’obesità possono intercorrere fattori genetici, fisiologici, ormonali, comportamentali ed ambientali contribuendo allo sviluppo dell’obesità, motivo per cui l’obesità non è incluso nel DSM- V (Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali.) Va rilevato tuttavia che esistono forti associazioni tra l’obesità e un certo numero di disturbi mentali quali il disturbo da Binge-eating, il disturbo depressivo, il disturbo bipolare, la schizofrenia. Alcuni effetti collaterali dei farmaci psicotropi contribuiscono in modo rilevante allo sviluppo dell’obesità, e questa a sua volta può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di alcuni disturbi mentali quali ad esempio i disturbi depressivi.
I disturbi dell’alimentazione maggiormente diffusi soprattutto nelle culture occidentali industrializzate sono: l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa. Nonostante che le manifestazioni sintomatiche di questi due quadri clinici sono differenti in entrambi i casi si può osservare un problema legato all’autostima dei soggetti, che sembra dipendere principalmente dalla forma del corpo e dal peso. Infatti molti autori considerano questi disturbi come due facce della stessa medaglia ossia come espressioni differenti e sovente contrapposte di una stessa difficoltà a percepire la dimensione della corporeità. Questo spiegherebbe anche lo stretto legame che si osserva clinicamente tra i due disturbi: ossia la presenza contemporanea nel 50% dei casi, dell’oscillazione tra le due sindromi nel corso della vita con la comparsa di comportamenti bulimici nelle persone anoressiche quando sottoposti a terapia, ossia quando il rigido assetto difensivo comincia essere interpretato e/o demolito.
Al centro del disordine alimentare, che si manifesta come malattia complessa, risultante dall’interazione di molteplici fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici, c’è comunque da parte del paziente una ossessiva sopravvalutazione dell’importanza della propria forma fisica, del proprio peso e corpo e una necessità di stabilire un controllo su di esso. Tra le ragioni che portano allo sviluppo di comportamenti anoressici e bulimici, si evidenziano, oltre a una componente di familiarità (studi transgenerazionali e sui gemelli hanno dimostrato che i disordini alimentari si manifestano con più probabilità tra i parenti di una persona già malata, soprattutto se si tratta della madre) anche l’influenza negativa da parte di altri componenti familiari e sociali, la sensazione di essere sottoposti a un eccesso di pressione e di aspettativa, o al contrario di essere fortemente trascurati dai propri genitori, il sentirsi oggetto di derisione per la propria forma fisica o di non poter raggiungere i risultati desiderati per problemi di peso e apparenza. Per alcune persone, si tratta di una tendenza autodistruttiva che li porta ad alterare il proprio comportamento alimentare o ad abusare di alcol o droghe.
L’anoressia e la bulimia però possono anche dipendere dal fatto che l’individuo subisca situazioni particolarmente traumatiche, come ad esempio violenze sessuali, drammi familiari, comportamenti abusivi da parte di familiari o di persone esterne, difficoltà ad essere accettati socialmente e nella propria famiglia. Uno dei motivi per cui una ragazza inizia a sottoporsi a una dieta eccessiva è la necessità di corrispondere a un canone estetico che premia la magrezza, anche nei suoi eccessi. Secondo molti psichiatri, infatti, l’attuale propensione a prediligere un modello di bellezza femminile che esalta la magrezza ha conseguenze devastanti sui comportamenti alimentari di molte adolescenti.
Effetti fisici e psicologici
Gli effetti dei disordini alimentari sono molto pesanti, sia sotto il profilo fisico che quello psicologico. Dal punto di vista fisico, gli effetti della malnutrizione comportano ulcere intestinali e danni permanenti ai tessuti dell’apparato digerente, disidratazione, danneggiamento di gengive e denti, seri danni cardiaci, al fegato e ai reni, problemi al sistema nervoso, con difficoltà di concentrazione e di memorizzazione, danni al sistema osseo, con accresciuta probabilità di fratture e di osteoporosi, blocco della crescita, emorragie interne, ipotermia e ghiandole ingrossate.
Le ripercussioni psicologiche, invece, comportano depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a mantenere relazioni sociali e familiari, sbalzi di umore, tendenza a comportamenti manichei e maniacali, propensione al perfezionismo.
Anoressia
Che cos’è l’anoressia nervosa?
Il termine anoressia significa” mancanza di appetito” (dal greco an-orexis) anche se in chi ne soffre sembra esserci la percezione della fame pur negata in maniera difensiva per paura di ingrassare o per l’ossessione della magrezza. L’anoressia nervosa è praticamente sconosciuta nelle nazioni nelle quali la magrezza non è considerata una virtù. Le immagini delle donne che forniscono oggi i mass-media suggeriscono che l’apparenza esterna e assai più importante nell’identità interna. Queste patologie, sono molto diffuse nella popolazione femminile anche se oggigiorno trovano sempre più espressione anche nei soggetti di sesso maschile.
Per anoressia nervosa si intende una eccessiva perdita di peso dovuto una restrizione dell’assunzione di cibo, molto spesso accompagnata anche da condotte di evacuazione (vomito indotto, uso di lassativi, ricorso una eccessiva attività fisica, uso di diuretici, farmaci dimagranti o clisteri, prolungati digiuni).
Per la persona che soffre di questo disturbo riuscire a ridurre il peso diventa un avere propria conquista poiché la magrezza e per il soggetto un segno evidente della propria capacità di autocontrollo.
L’anoressia nervosa è una malattia caratterizzata dal rifiuto del cibo e dalla paura di ingrassare, un disturbo alimentare che affligge l’1% delle donne che continuano a dimagrire vedendosi sempre grasse e fuori forma, anche quando non corrisponde alla realtà. L’Associazione Bulimia e Anoressia rivela che in Italia sono oltre 3 milioni le persone che hanno disturbi alimentari. L’85% sono donne, ma il disturbo comincia a riguardare anche gli uomini. I disturbi del comportamento alimentare compaiono in modo più frequente durante l’adolescenza o la prima età adulta, ma possono anche svilupparsi durante l’infanzia o in tarda età. La complessità della diagnosi dell’anoressia nervosa è fonte di differenti studi e un gran numero di ipotesi alla ricerca delle cause di questa malattia. L’anoressia nervosa ha uno dei più alti tassi di mortalità complessivi tra tutti i disturbi psichiatrici. Il rischio di morte è tre volte più alto rispetto alla depressione, alla schizofrenia o all’alcolismo e 12 volte più alto di quello presente nella popolazione generale.
L’ Anoressia Nervosa è un Disturbo dell’Alimentazione caratterizzato, secondo i criteri del DSM-V, da:
– restrizione dell’apporto energetico relativo al bisogno, che induce un significativo basso peso corporeo relativamente all’età, sesso, evoluzione dello sviluppo e salute fisica. Un significativo basso peso è definito come un peso minore del minimo normale o, per i bambini e gli adolescenti, minore del minimo atteso.
– intensa paura di aumentare di peso o d’ingrassare, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, nonostante un peso significativamente basso.
– anomalia nel modo in cui è percepito il peso e la forma del proprio corpo; inappropriata influenza del peso e della forma del corpo sulla propria autostima, o persistente perdita della capacità di valutare la gravità della attuale perdita di peso.
Si distinguono due sottotipi:
– Con Restrizioni durante gli ultimi tre mesi
– Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione durante gli ultimi tre mesi
L’ Indice di Massa Corporea IMC, calcolato con il peso in chilogrammi/ altezza in metri al quadrato è un utile parametro per valutare il peso del corpo in relazione all’altezza. Secondo l’organizzazione mondiale della sanità, per gli adulti, un IMC di 18,15Kg/m al quadrato viene considerato come un limite inferiore del peso corporeo normale, al di sotto invece del 17,0 kg/m al quadrato viene considerato negli individui un peso significativamente basso.
L’anoressia è conseguente al rifiuto ad assumere cibo, determinato da una intensa paura di acquistare peso o diventare grassi, anche quando si è sottopeso. Spesso, una persona anoressica comincia con l’evitare tutti i cibi ritenuti grassi e a concentrarsi su alimenti ‘sani’ e poco calorici, con una attenzione ossessiva al contenuto calorico e alla composizione dei cibi e alla bilancia. Molto spesso i pasti vengono evitati o consumati con estrema lentezza, rimuginando a lungo su ogni boccone ingerito. Il corpo viene percepito e vissuto in modo alterato, con un eccesso di attenzione alla forma e con il rifiuto frequente ad ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso. Le caratteristiche comuni che contraddistinguono le persone affette da anoressia nervosa sono: alto livello di perfezionismo, iperattività, mancata consapevolezza della malattia e dismenorrea (nel caso di donne). Il corpo è vissuto da queste persone come un nemico contro cui combattere, i cui bisogni non vengono avvertiti. Il controllo del peso è ciò che garantisce una sensazione di autonomia e indipendenza e questo implica, spesso, comportamenti alimentari ritualizzati, preferenza per cibi e bevande dal basso apporto calorico. Sovente inoltre le persone che hanno un disturbo di anoressia nervosa si impegnano eccessivamente nell’ attività fisica (impegno smodato negli sport, fare molte attività in piedi, farsi carico di borse e zaini pesanti), una tendenza ad esporsi al freddo, oltreché la propensione a cucinare per gli altri e incoraggiarli a mangiare. A livello sociale vi può essere frequentemente una tendenza al ritiro e alla depressione. Il funzionamento cognitivo nei termini di stile di pensiero delle pazienti con anoressia nervosa è caratterizzato da una scarsa flessibilità, scarsa memoria visiva ed eccessiva attenzione ai dettagli (tutte caratteristiche che sono alla base del disturbo dell’immagine corporea) che, insieme ad una rallentata inibizione delle risposte comportamentali, determinano il comportamento impulsivo. Sul versante psicologico si può riscontrare una scarsa empatia, ossia una difficoltà a riconoscere gli stati emotivi altrui, e ciò si riscontra soprattutto nelle situazioni di particolare sottopeso, mentre sembra essere in parte recuperata nel momento in cui avviene un recupero del peso. Nei pazienti anoressici sembra esserci una mancanza di controllo sul proprio Sé: mancanza che viene compensata proprio attraverso l’adozione del digiuno, inteso come controllo dell’appetito, e dunque del corpo. Il corpo, rappresenta per ognuno di noi il modo in cui entriamo in contatto con il mondo, con gli altri è “il nostro biglietto da visita”. É attraverso il corpo, che ci presentiamo e ci facciamo accogliere e/o respingere, accettare e giudicare dal mondo. La sensazione di mancanza di controllo è quindi massima, ed è proprio ciò che teme la paziente con anoressia nervosa. Di qui la sua scelta paradossale: il controllo del corpo diventa fine a se stesso, in una corsa autodistruttiva in cui l’obiettivo iniziale, la conquista di uno strumento infallibile per poter essere accettati e piacere agli altri, è presto dimenticato a favore della magrezza, che diventa un valore in sé.
Anoressia e bulimia sono malattie complesse, determinate da condizioni di disagio psicologico ed emotivo, che quindi richiedono un trattamento sia del problema alimentare in sé che della sua natura psichica. L’obiettivo è quello di portare il paziente, attraverso terapie mirate a modificare i comportamenti e l’attitudine, a adottare soluzioni di gestione dei propri stress emotivi che non siano dannose per la propria salute e a ristabilire un equilibrato comportamento alimentare. Possono manifestarsi in persone di diverse età, sesso, provenienza sociale, ma sono solitamente più comuni in giovani donne in età compresa tra i 15 e i 25 anni.
Quale terapia?
La cura dell’anoressia dovrebbe essere effettuata da una équipe multidisciplinare, composta da medici (con competenze internistiche e psichiatriche), psicologi-psicoterapeuti, dietisti e personale infermieristico. Spesso è necessario il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva a una lunga durata (90 giorni).
Parlando delle compromissioni emotive, ora, possiamo senza dubbio affermare che le emozioni più spesso trattate nella clinica dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) sono la vergogna e la colpa, stati emotivi autocoscienti che affliggono l’Io. Mentre la vergogna e il giudizio negativo è attribuito al Sé nella sua interezza, nella colpa l’attribuzione negativa è legata allo specifico comportamento attuato.
In un percorso terapeutico risulta quindi importante analizzare le specifiche tematiche di vergogna vissute quali ad esempio: vergogna di alcune emozioni (come ad es. la rabbia, la tristezza) vergogna del fallimento; vergogna del corpo (della propria apparenza e della funzione del corpo); vergogna rispetto all’autocontrollo e ai comportamenti auto-distruttivi; vergogna degli abusi sessuali (sensazione di inferiorità, di non aver resistito); vergogna di avere un disturbo alimentare (per il problema legato al mangiare, per auto-accuse di vanità, per timore dello stigma sociale). È stato inoltre evidenziato che l’approccio positivo correlato agli stati dell’umore possa facilitare il progresso del trattamento dell’anoressia nervosa e portare a un aumento del benessere e a un miglioramento ad ampio spettro della psicopatologia del disturbo alimentare. In questo contesto dovrebbe essere considerato il ruolo dell’ansia come moderatore del successo nel trattamento dell’anoressia nervosa. Si ipotizza, infatti, che l’ansia possa determinare quanto i pazienti siano in grado di tollerare il rischio del cambiamento. Alcuni autori hanno infatti evidenziato un più lento aumento di peso in pazienti che manifestano una psicopatologia più grave e maggiori livelli di ansia.
Va infine sottolineato che più a lungo l’anoressia si protrae, maggiormente difficile sarà curarla. Pertanto è importante agire in età precoce, evitare la cronicizzazione dei sintomi, garantendo agli adolescenti maggiori possibilità di vita ed una migliore qualità della stessa. Un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine ha effettuato uno studio che, in linea con molte delle ricerche finora condotte in merito, conferma l’importanza del coinvolgimento dei genitori nel trattamento dell’anoressia nervosa.
Bulimia
Che cos’è la Bulimia Nervosa?
L’etimologia della parola deriva dai termini greci boùs= bue e limòs = fame cioè “fame da bue“, il che indica le ricorrenti abbuffate di soggetti che soffrono di questo disturbo, capaci di introdurre fino a 5000 calorie in solo pasto. La tipologia del cibo può essere diversa: dolci, alimenti ipercalorici, piatti freddi. Molto spesso le abbuffate avvengono in solitudine, generalmente la persona, va avanti nel mangiare fino a quasi sentirsi male; e a questo punto che abitualmente subentrano le cosiddette condotte di eliminazione, come il vomito indotto, l’uso di lassativi o diuretici. Altre volte, mancano tali comportamenti ma vengono sostituiti da un eccessivo esercizio fisico o da fasi di digiuno.Una persona bulimica si abbuffa in modo molto diverso da quello che avviene quando normalmente si mangia troppo. Le caratteristiche tipiche della Bulimia nervosa secondo DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) sono:
– Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti:
1. Mangiare in un determinato periodo di tempo per esempio un periodo di due ore, una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo in circostanze simili
2.. Sensazione perdere il controllo durante episodio per esempio sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o controllare quanto si sta mangiando
– Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’ aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno, attività fisica eccessiva
– Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media una volta alla settimana per 3 mesi
– I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e del peso del corporeo
– L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.
Possiamo quindi considerare la bulimia come una ingestione di una quantità eccessiva di cibo, a volte per un totale di diverse migliaia di calorie, in un arco di tempo molto stretto, per esempio nel giro di due ore, e solitamente di nascosto da altri con la sensazione di non poter smettere di mangiare e di non poter controllare il proprio comportamento,l’abbuffata è preceduta e seguita da uno stress emotivo molto forte.
La bulimia è più frequente dell’anoressia. Colpisce 1 – 3 % delle giovani donne (0.5 – 1 % anoressia). E’ più frequente nelle donne rispetto che agli uomini ed è più tardiva rispetto all’anoressia (insorge spesso nella prima età adulta). E’ stata riportata occasionalmente nel 40 % delle giovani universitarie (accompagnata a condotte di eliminazione). E’ spesso frequente in giovani donne di peso normale con storia precedente d’obesità.
Dopo un’abbuffata, la persona bulimica generalmente si sente in colpa e tende a punirsi vomitando, ingerendo pillole diuretiche e lassativi con l’intento di dimagrire. Se questo comportamento diventa ripetitivo, ad esempio si manifesta due volte alla settimana per tre mesi, si è di fronte a un chiaro segnale di disordine alimentare. La diretta conseguenza dell’intensa preoccupazione per le forme e il peso in soggetti che basano l’autovalutazione personale sulla magrezza è cercare di dimagrire seguendo una dieta caratterizzata da regole molto rigide.
Seguire una dieta rigida in modo perfezionistico porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni che vengono vissute da chi soffre di problemi dell’alimentazione come una irrimediabile perdita di controllo (bulimia nervosa).
Nel tempo, un soggetto bulimico entra in una fase di depressione e di disgusto verso se stesso, cercando di nascondere il proprio comportamento agli altri, anche se la propria forma e apparenza fisica finiscono con il diventare una ossessione permanente tanto da avere forti ripercussioni sulla propria autostima. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine: quanto più segretamente possibile. L’episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell’ingestione del cibo. Una persona bulimica può essere di peso normale, sottopeso o sovrappeso, diversamente da una anoressica che è sempre sotto peso. Inoltre, il peso di un soggetto bulimico può variare enormemente e oscillare, fatto che può essere utilizzato come sintomo dell’esistenza di un disordine alimentare. Le abbuffate in una prima fase possono dare piacere, perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta, col passare del tempo determinano però emozioni negative (paura di ingrassare, senso di colpa, vergogna, disgusto) che a loro volta possono innescare nuove abbuffate, alimentando il circolo vizioso che mantiene i sintomi della bulimia.
Il frequente ricorso a condotte di eliminazione tipico della bulimia nervosa può produrre alterazioni dell’equilibrio elettrolitico e dei fluidi, tra cui i più frequenti sono: ipopotassiemia, iponatriemia, ipocloremia. La perdita di succo gastrico acido attraverso il vomito può produrre alcalosi metabolica , mentre l’abuso di lassativi per indurre diarrea può provocare acidosi metabolica. Il vomito ripetuto può condurre ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente a livello delle superfici linguali dei denti incisivi. Questi denti diventano scheggiati, intaccati, e “tarlati”. Inoltre si può avere un aumento della frequenza delle carie.
Quale cura?
Per la cura della bulimia nervosa è importante ricorrere ad un percorso psicoterapeutico mirato, presso un centro multidisciplinare specialistico, ove il paziente sia assistito non solo dallo psichiatra, ma anche e sopratutto da un nutrizionista e uno psicoterapeuta.
Gli obiettivi principali del trattamento psicoanalitico sono aumentare la capacità di riflettere e di tollerare l’esperienza affettiva e di facilitare l’insight dei meccanismi che nascondono gli aspetti inconsci e rimossi dei pazienti – due fattori principali coinvolti nel mantenimento di episodi bulimici.
La bulimia può essere vista come soluzione (per quanto patologica) piuttosto che come disturbo, e dunque la tesi conseguente secondo cui la cura non deve avere di mira la risoluzione del sintomo alimentare quanto il trattamento di ciò che lo ha causato. Rimane fondamentale la centralità della singolarità del soggetto e della sua storia nella cura, da cui far emergere la genesi della sua bulimia e la funzione inconscia che essa ha esercitato. E infine la tesi della bulimia come risposta ad una patologia del legame del soggetto con gli altri che si rivela in modo esemplare nel rapporto con le figure parentali.
Disturbo da binge-eating
Che cos’è il binge eating disorder (disturbo da fame compulsiva)?
Il disturbo da alimentazione incontrollata, in inglese binge eating disorder (BED), è uno dei problemi alimentari più diffusi. Come ogni altro disturbo psicologico, la sua gravità può essere variabile, per questo a livelli lievi si tende spesso a non riconoscerlo o sottovalutarlo. Il binge eating disorders, si può manifestare sia negli uomini che nelle donne, in molti casi intorno ai 20 anni. Presenta alcune caratteristiche in comune con i disturbi alimentari più noti, anoressia e bulimia, ma è il comportamento alimentare che maggiormente porta a rischio di sovrappeso e obesità, con conseguenti problemi fisiologici (tra i più comuni: diabete, ipertensione, malattie cardiovascolari) e l’isolamento sociale. il BED è un disturbo alimentare in cui si verficano ricorrenti episodi di abbuffate – con sensazione di perdere il controllo – a cui fanno seguito vissuti di colpa, disgusto e disagio verso se stessi e il proprio comportamento.
Il 40% degli obesi presenta questo disturbo del comportamento alimentare, sovente dietro il fenomeno dell’abbuffata c’è una storia fallimentare di diete dimagranti ma soprattutto una incapacità a gestire le emozioni. Rabbia, noia, depressione, ansia scatenano la perdita di controllo e l’inevitabile abbuffata. Questo disturbo sovente interferisce con la vita e il benessere della persona, chi ne soffre il più delle volte nasconde il problema, si isola, si colpevolizza, si rassegna. Le persone con alimentazione incontrollata spesso presentano una bassa autostima e hanno scarsa fiducia in sé, o sono persone perfezioniste. Possono essere persone impulsive, e con la tendenza a vedere il mondo per estremi “o tutto o niente”. Nella maggior parte dei casi hanno poca consapevolezza dei propri stati d’animo e delle emozioni che sperimentano, e spesso sono proprio questi bisogni emotivi non compresi a portare verso la ricerca di cibo come mezzo per colmare la sofferenza e riportare il benessere interiore. Il cibo infatti, specialmente dolci e alimenti calorici, favorisce la produzione di serotonina, agendo quindi come un antidepressivo naturale. Inoltre come per gli altri problemi alimentari, la presenza di un ambiente familiare o la frequentazione di luoghi o ambienti in cui cibo, forme del corpo, magrezza e peso sono elementi enfatizzati e cui viene data molta attenzione, possono costituire fattori di rischio per l’alimentazione incontrollata. Le persone che soffrono di alimentazione incontrollata, spesso tentano di mettersi a dieta (o iniziare un’attività fisica). L’idea di perseguire uno stile alimentare più sano, insorge spesso dopo un episodio di abbuffata, quando spinti dal senso di colpa e, appagati i sensi, ci si sente un po’ più energici e determinati a cambiare. Purtroppo però la spinta motivazionale sostenuta da un’emozione momentanea non è sufficiente a mantenere la costanza nel buon proposito, e all’insorgenza di una nuova problematica (un evento che non si riesce a gestire, una situazione conflittuale, una mancata realizzazione) il principale pensiero e desiderio torna quello di porre fine a questa sofferenza interiore, tramite la via più “semplice” e disponibile, ovvero il consumo di cibo.
CRITERI DIAGNOSTICI DSM-V
A – Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è definita dai due caratteri seguenti:
1) Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per esempio nell’arco di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili.
2) Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per esempio sentire di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).
B – Gli episodi di abbuffate compulsive sono associate a tre o più dei seguenti aspetti:
1) Mangiare molto più rapidamente del normale;
2) Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni
3) Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente affamati
4) Mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando
5) Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio
C – è presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.
D – L’abbuffata si verifica, mediamente, almeno 1 volta alla settimana per 3 mesi.
E –L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa
Gravità delle frequenze degli episodi di abbuffata
Abbuffate a settimana:
Lieve: 1-3 episodi
Moderata: 4-7 episodi
Severa: 8-13 episodi
Estrema: 14 o più episodi
Quale terapia?
Come per gli altri disturbi alimentari, è importante affrontare il problema in modo multiprofessionale, con l’aiuto quindi di psicoterapeuti, psichiatri, nutrizionisti. Dal punto di vista psicologico è importante capire gli stati emotivi ed affettivi che spingono il paziente a colmare attraverso l’ingestione di cibo il proprio malessere. In generale ci possono essere delle difficoltà che riguardano il versante della motivazione intesa come autoefficacia e della bassa autostima (ad es. nel caso in cui la persona non ritenga di avere le capacità di autoregolarsi, o non sappia affrontare alcuni eventi di vita che le capitano e che la fanno sentire inadeguata, per cui non trovando risorse interne per risolvere la situazione, si “consola” con il cibo). Un obiettivo terapeutico potrà essere quello di far scoprire le capacità e le potenzialità del paziente, aiutandolo a comprendere l’origine della sua bassa autostima, a trovare nuovi aspetti su cui focalizzarsi e su cui puntare nella vita. Un altro aspetto può riguardare il timore del fallimento, con l’obiettivo di spezzare i circoli viziosi di evitamento che non fanno altro che aumentare il rischio di non fare nulla nella vita e di conseguenza amplificano la sensazione di valere poco. Riconoscere e gestire le emozioni rappresenta un altro eventuale obiettivo terapeutico, in quanto le emozioni come ad esempio ala rabbia, la frustrazione, l’ansia, possono essere taciute tramite l’appagamento dato dal cibo). Un altro aspetto riguarda le eventuali difficoltà nella gestione delle relazioni interpersonali di tipo conflittuale come ad esempio nel caso in cui la persona si trovi in situazioni di conflitto con qualche familiare o partner o all’interno di un luogo di lavoro, per cui non sapendo come risolvere la situazione o pensando di non aver vie d’uscita dal problema, si rifugia cercando piacere nel cibo).
Obesità
CHE COS’È L’OBESITÀ?
L’obesità è una condizione caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo, si stima infatti che nel 2008 circa 1,5 miliardi di adulti fossero in sovrappeso, e di questi, 200 milioni di uomini e circa 300 milioni di donne risultassero obesi.
L’obesità non è inclusa nel DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) come un disturbo mentale. Questo problema può essere dovuto ad una serie di fattori genetici, fisiologici, comportamentali e ambientali, che variano tra gli individui, contribuendo allo sviluppo dell’obesità. Possono esserci tuttavia delle associazioni tra l’obesità e un certo numero di disturbi mentali come esempio il disturbo da binge-eating, disturbo depressivo, disturbo bipolare e schizofrenia. Vi sono inoltre di farmaci psicotropi che contribuiscono in modo importante lo sviluppo dell’obesità E quest’ultima può a sua volta essere un fattore di rischio per lo sviluppo di alcuni disturbi mentali come ad esempio la depressione.
Obesità e sovrappeso, prima considerati problemi solo dei paesi ricchi, sono ora in crescita anche nei paesi a basso e medio reddito, specialmente negli insediamenti urbani, e sono ormai riconosciuti come veri e propri problemi di salute pubblica. L’obesità è una malattia cronica determinata da un eccesso di massa grassa distribuita in maniera differente nei vari distretti corporei e nei diversi soggetti. Strumentalmente, ricorrendo a metodiche più o meno sofisticate, si riesce a stimare o a misurare tale eccesso e la sua distribuzione. Il parametro più semplice e quindi più utilizzato per definire il grado di obesità è l’Indice di Massa Corporea (o IMC o BMI Body mass index) che si ricava dal rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e l’altezza in metri al quadrato.
BMI: Sottopeso<18,5 Normopeso 18,5-24,9 Sovrappeso 25-29,9 Obesità moderata (I grado) 30-34,9 Obesità severa (II grado) 35-39,9 Obesità grave (III grado) >40.
La prevalenza dell’obesità è in aumento in tutti i paesi occidentali, al punto da essere definita come una epidemia. In USA contribuisce a 300.000 morti/anno, diventando in tal modo la 2° causa di morte dopo il fumo. L’obesità aumenta il rischio di malattie cardiache, ipertensione, d’infarto, di arteriosclerosi, di disturbi renali, di diabete e di aumento del colesterolo. Inoltre nelle donne aumentano i disturbi circolatori, venosi, linfatici; durante la gravidanza aumenta il rischio di gestosi e di rischi dell’anestesia nel parto. Dal punto di vista fisiologico si può riscontrare un rallentamento della funzione metabolica; le sostanze nutritive (zuccheri, grassi, proteine) impiegano maggior tempo a convertirsi in energia, trasformandosi in tessuto adiposo. Nell’obeso inoltre si è riscontrato un difetto del metabolismo del glucosio, una tendenza all’iperisulinismo ed anche alla ritenzione idrica. In particolare, il glucosio generalmente viene ossidato rapidamente in modo da essere metabolizzato dagli adipociti. Gli acidi grassi depositandosi nel tessuto adiposo, richiedono l’uso continuo di glucosio e di conseguenza di insulina; per cui l’accumulo di grasso nell’organismo non può avvenire se non esiste una concomitante metabolizzazione del glucosio. Questo potrebbe significare che nell’obeso ci sia una produzione eccessiva di insulina che causa difetti dell’ossidazione del glucosio il quale trasforma i carboidrati (probabilmente eccedenti nella dieta dell’obeso) in grassi.
Molte ricerche sull’obesità hanno dimostrato che l’aumento di peso non è semplicemente dovuto all’introito alimentare. Due persone possono mangiare all’incirca lo stesso numero di calorie e condurre uno stile di vita simile: uno può ingrassare l’altro no. La differenza sostanziale tra questi due individui consiste nella capacità di metabolizzare le calorie assunte. L’obesità primaria o endogena si sviluppa per cause organiche, l’obesità secondaria o esogena è dovuta alla sovralimentazione.
Alcune classificazioni distinguono l’obesità il problemi connessi in obesità reattiva, obesità di sviluppo, e obesità e tipo sociogenetico, quest’ultima considerata però normale dal punto di vista psicopatologico, non accompagnata cioè da particolare turbe emotive. L’obesità reattiva, è la forma che si riscontra più frequentemente negli adulti derivanti in genere da un trauma emotivo. Questi pazienti di solito aumentano considerevolmente di peso, in relazione ad eventi penosi, come gravi malattie, lutti, separazioni, interventi chirurgici, che possono produrre delle ferite a livello narcisistico; oppure l’aumento di peso può derivare da vissuti da insoddisfazione personale, affettiva o lavorativa. Generalmente queste persone si rendono conto di mangiare molto quando sono sottoposte a situazioni ritenute stressanti; questo tipo di alimentazione è spesso compulsiva in quanto l’atto di cibarsi è irrefrenabile e disgiunto dalla fame fisiologica. Non di rado queste persone cercano di nascondere la loro depressione o anche la loro aggressività dietro una facciata bonaria e allegra. Si è inoltre osservato come alcuni casi di obesità reattiva si riscontrano nei momenti più salienti della vita di una donna: la pubertà, la gravidanza e la menopausa. L’obesità di sviluppo, che insorge età evolutiva è spesso legata a problemi della personalità anche gravi. Non è raro però che in età infantile si possa riscontrare l’obesità di tipo reattiva detta anche “paradossale” in quanto la risposta iperfagica ad un dispiacere è tipica dell’adulto. Esso può derivare da lutti familiari, dalla nascita di un fratellino, da problemi scolastici. La risoluzione del problema dipenderà molto da come l’ambiente percepirà l’ aumento di peso inteso come vissuto di sofferenza. Numerosi studi rilevano alcune caratteristiche somatiche simili, riscontrabili nella maggior parte di bambini obesi: in primo luogo si possono riscontrare un aumento della statura, nella crescita della struttura ossea, oltre che un considerevole sovrappeso. Molte ricerche sembrano confermare l’ipotesi che una eccessiva alimentazione in età precoce aumenti considerevole considerevolmente il numero di adipociti presenti nell’organismo ne determini il futuro accrescimento. Anche se l’aumento delle cellule adipose può predisporre il bambino rischio di obesità, bisogna considerare altre concause egualmente importanti quali le influenze ambientali e familiari. Queste ultime sono di fondamentale importanza anche per la futura risoluzione del problema; un ambiente caloroso ed accogliente oltre che rassicurante favorisce il miglior sviluppo della propria individualità ed una migliore accettazione di se stessi. Al contrario un ambiente familiare persecutorio dove vige ansia e discordia, può portare il bambino a chiudersi in se stesso accusando il mondo il e il destino per avergli dato una simile maledizione. Studi di follow-up su soggetti ormai adulti, rilevano che sono riuscite a liberarsi dall’obesità, i bambini che hanno intrapreso una dieta dimagrante senza coercizioni esterne, di propria iniziativa, una volta resosi conto delle conseguenze sociali a cui sarebbero andati incontro. Sicuramente questi bambini avevano una stima di sé sufficientemente adeguata ed una autodifferenziazione che ha permesso loro di sviluppare in seguito la capacità di distinguere la fame biologica della fame psicologica-compulsiva. In anni recenti, si è andata sempre più affermando l’idea che uno degli indici più predittivi per l’insorgenza ed il mantenimento dell’obesità infantile, riguarda l’attività fisica: molti autori reputano l’obesità infantile e adolescenziale, una conseguenza dell’inattività fisica piuttosto che nella sola sovralimentazione. Anche in questo caso però i pareri sono discordi; la sedentarietà è una casa o una conseguenza dell’aumento di peso? Probabilmente la risposta è affermativa in entrambi i casi; il maggior introito alimentare favorisce sovrappeso che di conseguenza modifica e valorizza un’immagine corporea poco soddisfacente. Per molti bambini obesi (ma anche per molti adulti) mostrare, esibire il corpo procura sentimenti di imbarazzo e vergogna.
In anni recenti, si è andata sempre più affermando l’idea che il comportamento alimentare inadeguato possa esprimere una sofferenza di tipo psichico, che coinvolge l’intera personalità del soggetto. Essere sovrappeso inoltre nel mondo occidentale di oggi, è assimilato alla bruttezza. La bellezza è intesa come aspetto imprescindibile della femminilità: le donne belle e snelle sono giudicate più femminili, le donne obese al contrario più mascoline. Sia nelle relazioni professionali, sia nelle relazioni private, la ricerca della magrezza appare per la donna un mezzo per affermarsi, per sviluppare un senso di identità, l’immagine che si costituisce di se stessa. Quando ci si occupa del problema dell’obesità, non vanno sottovalutati fattori socioculturali e le motivazioni principali come l’importanza dell’esperienza alimentare nella relazione madre bambino, disturbi della personalità, i canoni estetici predominanti in una data cultura, i momenti storici e le credenze ideologiche e religiose. Secondo alcuni autori, i giovani della società occidentale di oggi, sono sottoposti a una grande pressione di dimagrire, anche al di sotto del loro peso ideale; spesso gli obesi risentono in maniera esagerata del giudizio altrui. Del resto è anche vero che la nostra società, condanna in maniera esagerata ogni minimo eccesso di peso, ritenendolo paragonabile a qualcosa di sporco e di poco desiderabile; segno inequivocabile del poco amor proprio. Per questi motivi l’obesità può essere considerata come problema grave, in quanto coloro che ne soffrono sono sottoposti a svalorizzazione sociale. Anche se il ruolo nella società non è da sottovalutare, bisogna tenere conto anche della sensibilità e vulnerabilità dei singoli individui. Infatti le persone che hanno stima di sé adeguata, possono far fronte a molte situazioni anche critiche, senza avere particolari problemi psicologici. L’atteggiamento della società sul problema dell’obesità, riflette un punto di vista morale spesso pregiudiziale e stereotipato: la fame e la sessualità rappresentano istinti primari e si formulano essere agli antipodi della ragione e del dominio delle pulsioni. Ed è per questo motivo che spesso si accusa l’obeso di essere “privo di volontà”. Viene considerato colui che non riesce a gestire nessun tipo di pulsione essendo un debole.
Quale terapia?
Da un punto di vista psicologico la cura dell’obesità si attua evidenziando i fenomeni nell’apparato psichico che emergono attraverso l’atteggiamento che l’obeso ha nei confronti del cibo e nel vissuto del corpo raccontati dal paziente stesso. Questi fenomeni, che possiamo considerare dei sintomi quindi passibili di cambiamento attraverso una terapia, sono riconducibili a tre aspetti fondamentali: la relazione con il cibo, il comportamento alimentare e l’immagine corporea. Questi aspetti sono una parte importante dello sviluppo psicologico dell’individuo fin dalla nascita. Infatti l’aspetto della nutrizione rappresenta il primo importante nucleo e realizzazione della relazione fra l’individuo e il mondo esterno; rappresenta al contempo la qualità del legame affettivo e della costruzione dell’identità del soggetto. Nella terapia col paziente obeso, vanno quindi analizzate la funzione della relazione con il cibo, la qualità del comportamento alimentare che può eventualmente segnalare la presenza di una sindrome psichiatrica, la struttura del Sé e la costruzione della propria immagine corporea che condiziona la capacità, di mantenere, attraverso il dimagrimento, il peso raggiunto.
Un altro aspetto importante nella terapia con gli obesi consiste nel riconoscere le emozioni connesse all’assunzione di cibo. Il rapporto con il cibo è mediato dagli stati d’animo ed assume un significato particolare in ogni individuo. Per le persone obese o in sovrappeso il cibo svolge una funzione di attenuazione delle emozioni negative, come ansia, depressione, noia, rabbia, insoddisfazione, producendo un allentamento della tensione o dell’ansia.
Le persone obese o in sovrappeso spesso confondono le emozioni e le sensazioni con la fame. Il cibo può rappresentare quindi il metodo più rapido per riempire un vuoto affettivo, o un modo per rendere sopportabili situazioni difficili o dolorose, assumendo in alcuni casi un ruolo ansiolitico o di auto gratificazione. Mangiare diventa un metodo per “gestire” le proprie emozioni, per confondere sensazioni che sono altre dalla fame (sonno, agitazione, noia) perlomeno per un breve periodo di tempo, con il risultato, ovviamente, di ingrassare e sviluppare conseguenti sensi di colpa, riduzione dell’autostima, vergogna e disagio, fino alla repulsione per il proprio corpo in un circolo vizioso continuo che provocherà sofferenze così importanti da costituire un ostacolo serio alle relazioni sociali, sentimentali e lavorative.
Concludo con le parole di Apfeldorfer(1991) che esprimono in maniera sintetica e significativa ciò che l’obesità rappresenta per la maggior parte delle persone che soffrono di questo disturbo:
“Essere grassi quando vanno di moda i magri non è solo un dolore frivolo. È una ferita che raggiunge l’individuo nella sfera più profonda, che ne scuote l’essere profondo, facendone vacillare l’ego. La persona grassa, privata di un corpo amabile, non riesce ad essere pienamente se stessa. L’obesità non è solo una tara di cui ci si sbarazza dimagrendo. E un dolore continuo che corrodendo l’essere in profondità, non cicatrizza mai.”
Dott. Monica Rupo
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