La quiete dopo la tempesta

                 

 Passata è la tempesta:

Odo augelli far festa, e la gallina,

Tornata in su la via,

Che ripete il suo verso. Ecco il sereno

Rompe là da ponente, alla montagna;

Sgombrasi la campagna,

E chiaro nella valle il fiume appare.

Ogni cor si rallegra, in ogni lato

Risorge il romorio

Torna il lavoro usato…

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride

Per li poggi e le ville. Apre i balconi,

Apre terrazzi e logge la famiglia:

E, dalla via corrente, odi lontano

Tintinnio di sonagli; il carro stride

Del passegger che il suo cammin ripiglia…

Giacomo Leopardi “La quiete dopo la tempesta”

Guardo dalla finestra della cucina, la campagna con i suoi colori e il suo riprendere vita mi ricorda che il tempo va avanti. La sensazione del sospeso e dell’attesa lascia il posto alle speranze, alle domande unite ai dubbi. La sensazione ricorda l’atmosfera leopardiana dopo un brutto e violento temporale che si è abbattuto nelle nostre città, nelle nostre famiglie, nelle nostre vite. Le nubi scure, sono ancora lì, minacciose, non si sono ancora del tutto allontanate. Uscire di casa o desistere? Avere un atteggiamento ottimistico o pessimistico? Potremmo uscire, proteggendoci portando con noi un ombrello, oppure potremmo desistere perché impauriti dalla possibilità di un nuovo acquazzone, rinunciando così al desiderio di farsi una passeggiata, oppure potremmo pensare che orami il peggio è passato e non pioverà più, ma non portando con noi l’ombrello e sottovalutando così i rovesci d’acqua che possono ancora arrivare.  

Dopo tanti giorni divenuti mesi di chiusura, restrizioni, decreti, allontanamenti, ora il cielo mostra un po’ di arcobaleno, lo stesso di quello disegnato su stoffe e a appeso ai balconi che ricomincia a riapparire timidamente. Strade si riempiono con i suoi suoni, rumori, voci, ci si cerca con lo sguardo, il sorriso costretto dentro una mascherina. Come stai? Com’è andata? Quando tonerai al lavoro?” In questa nuova fase c’è la voglia di ricominciare ma anche l’ansia e la paura di affrontare una normalità che tale non è; un sereno con le nuvole nere dietro l’angolo. I dubbi, le attese, la troppa confusione su indicazioni, prassi e protocolli non aiutano. Coloro che hanno lavorato per noi in tutto questo lungo periodo sono stanchi, psicologicamente provati, quelli che invece hanno atteso iniziano ad essere frustrati, preoccupati, rassegnati, tristi, a volte arrabbiati. La casa vissuta come luogo di costrizione per settimane, allo stesso tempo ha rappresentato anche una bolla protettiva che ci ha concesso il tempo di fermarci, di riappropriarci di aspetti di noi, troppo spesso dimenticati. Riordino della casa, del buon cibo, del gioco, dell’ozio, degli affetti vicini ma anche di quelli lontani tenuti vivi da nuovi modi di comunicazione, che hanno ridefinito e scandito ritmi quotidiani di cui non avevamo più la consapevolezza. E proprio come scrive Leopardi nello Zibaldone: “…E ciò non solo perch’essi mali danno risalto ai beni, e perché più si gusta la sanità dopo la malattia, e la calma dopo la tempesta: ma perché senza essi mali, sarebbero neppur beni a poco andare, venendo a noia …” Come un violento temporale, infine, si farà la conta dei danni. Il periodo che ci attende deve dare voce a tutti quelli che sono stati sotto quel cielo nero. Alle persone che hanno sofferto, a quelli che sono stati più fragili, a quelli che hanno tenuto duro, a chi ha continuato ad esporsi per senso del dovere ed etico; a tutti coloro che hanno fatto proprie le regole imposte rispettandole, a quelli che vogliono ricominciare, ma anche a tutte le persone che, fatti i conti dei danni non potranno più rialzarsi. Bisognerà ora unire le forze, trovare nuovi stimoli, accettando e fronteggiando le ansie, le incertezze, sostenendoci e continuando nel nostro piccolo, ma grande allo stesso tempo, contributo di responsabilità; proteggendo (con gli strumenti che oramai conosciamo, mascherina, guanti, distanziamento sociale) noi stessi e chi amiamo.

La fiducia e la speranza devono potersi riaffacciare o per dirla con le parole di Eraclito: “Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato.”