L’invidia ai tempi dei social

               

Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso, 
che se veduto avesse uom farsi lieto,
 visto m’avresti di livore sparso.* 
(Dante Alighieri, Purgatorio, XIV, vv.82-84)

Affrontare il tema dell’invidia, non è facile. É un sentimento diffuso, che si fa fatica a riconoscere, più facile scorgerlo negli altri, difficile ammetterlo per se stessi. Oggi più che mai è un argomento attualissimo, dobbiamo fare i conti con il sentimento dell’invidia quotidianamente. I social network (Facebook, Instagram, WhatsApp, YouTube  ecc…) ci danno la possibilità di entrare nella vita delle persone in tanti momenti della loro vita. Uno studio dell’Università Humbolt di Berlino ha osservato che si sentano frustrati oltre un terzo degli utenti di Facebook dopo aver trascorso del tempo sul social network. Foto e commenti di vacanze, momenti felici, vestiti nuovi, cene romantiche, tavole imbandite, scatti di momenti familiari, di coppia, di amicizia, postati, condivisi, esibiti. Si guarda a volte invitati, a volte no, si scruta, si compara e con la complicità del filtro, del photoshop, del momento che non rappresenta necessariamente la situazione nel suo insieme, la vita degli altri può apparire migliore, più ricca, più interessante ecc. Ed eccolo lì che si può affacciare il sentimento dell’invidia. Strumenti di diffusione nuovi che riportano a galla un sentimento antico probabilmente quanto l’uomo. Considerato uno dei vizi capitali secondo il Cristianesimo, la parola invidia deriva dal latino (der. di invĭdus: v. invido) ossia: in-videre, guardare contro, guardare con ostilità. Un termine che significa tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio, uno stato d’animo o sentimento spiacevole che nasce dal volere per sé un bene o una qualità altrui.

L’invidia è sovente accompagnata da un’ avversione e un rancore verso chi possiede tale bene o qualità, l’invidioso può augurare il male all’altro, in modo che il dolore e la tristezza possano così oscurarne le qualità o diminuire la felicità che ne consegue. Una ricerca condotta da Hidehiko Takahashi (National Institute of Radiological Sciences), mostra come la corteccia cerebrale cingolata anteriore dorsale è legata all’elaborazione del dolore fisico o sociale: la sua attivazione si ha per esempio in risposta a un dolore sociale, come il senso di esclusione. Può quindi riflettere la caratteristica dolorosa di un’emozione legata al confronto sociale come l’invidia, con la sensazione di essere esclusi da un campo per sé rilevante.

Spesso gelosia e invidia vengono confuse, l’invidia tuttavia viene considerata un’emozione più semplice e primitiva: il desiderio di possedere ciò che l’altro ha. Per P.M. Spielman: “L‘invidia denota il desiderio di avere ciò che ha un altro; la gelosia è questo più il desiderio che l’altro non abbia. Nell’invidia ci dispiace che un’altra persona possiede qualcosa che vorremmo avere per noi e ci sentiamo inferiori per il fatto di non averlo. Può trattarsi di una cosa, di una persona o di entrambe, o di una qualità come il prestigio, il successo, la felicità. Un elemento cruciale dell’invidia è che si colloca in un rapporto interpersonale, è una configurazione a due, dove l’altro ha il possesso di ciò che si invidia. Nella gelosia invece si prova apprensione, ansia, sospetto sfiducia circa la perdita di un possesso prezioso, o il volgersi del rapporto d’amore o di affetto verso una terza persona. Spesso c’è un’attenta vigilanza contro la perdita minacciata, vi è dunque uno sforzo di mantenere lo status quo, di mantenere il possesso. Spesso l’oggetto della gelosia è in genere una persona o il suo affetto, piuttosto che un oggetto inanimato o una qualità. Nella gelosia viene una configurazione a tre in cui una persona gelosa teme che una terza persona si intrometta in una relazione a due e ne prenda possesso.”  

Riguardo all’invidia vengono distinti due tipi: una benigna e una maligna conosciuta anche come schadenfreude. L’invidia è spesso associata ad altre emozioni: ad esempio, rabbia, tristezza, vergogna, senso di colpa, impotenza, ansia, rimpianto e disperazione. tali emozioni negative possono generare l’adozione di modalità disfunzionali, quali ruminazione, lamentele, ricerca di rassicurazioni, autocritica, evitamento.

Da un punto di vista psicologico dunque l’invidia si lega fortemente al senso di autostima e alla sicurezza di sé. L’invidioso tende a stabilire la propria identità sulla base di confronti con gli altri, in maniera distruttiva piuttosto che costruttiva. Per questi motivi egli non si ritiene in grado di raggiungere lo stesso status dell’invidiato e non trova altre soluzioni per colmare il distacco, se non quella di disprezzare, sminuire, svalutare e augurare il “male” dell’invidiato, per salvare  un Io fragile.

Anche se l’invidia viene spesso considerata nella sua accezione negativa, vi può anche essere un’invidia costruttiva. In questa accezione si intende la spinta che l’invidia può dare a migliorarsi, competere in modo sano. Ci può stimolare a raggiungere traguardi ritenuti difficili. Può spingerci a nuove opportunità, curiosità, apprezzamento, gratitudine, soddisfazione che possono promuovere l’adozione di comportamenti vantaggiosi e funzionali. É importante però poter riconoscere l’invidia in sé stessi imparando a gestirla. Saper trasformare il dolore di non possedere qualcosa, in spinta e opportunità per crescere, ma soprattutto non trasformare la felicità altrui come parametro per sottovalutare e sottostimare la propria vita.