Le parole incontinenti

               

“Le nostre parole sono spesso prive di significato. 
Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate,
svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole.
Le abbiamo rese bozzoli vuoti.
Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole.
Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore.
E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.”
Gianrico Carofiglio

Negli ultimi anni capita sempre più spesso di leggere o ascoltare situazioni in cui qualcuno esprime pensieri, esternazioni, commenti, insulti ed offese più o meno espliciti per poi rendersi conto, per via del clamore negativo di ritorno, di avere detto qualcosa che ha suscitato sdegno, clamore, denunce, ecc. Di questa modalità comunicativa oramai non ne è esente quasi nessuno, persone comuni ma anche politici, governanti, persone dello spettacolo, della cultura, proprio tutti, nessuno escluso. Le parole sembrano ad un tratto fluire in modo incontinente, senza filtri, senza riflessione senza appunto contenimento, evacuate come se fossero proferite senza essere state pensate, trattenute, “mentalizzate”. Le reazioni inducono poi, a volte, a fare dietrofront con frasi del tipo: “non pensavo che si arrabbiasse, che avrei ferito, offeso” ecc… Anche nei colloqui psicoterapeutici (di cui ricordo invece il significato: ossia la cura con le parole)  ascolto tantissime storie di persone che mi raccontano di dialoghi tumultuosi, tra partner, tra genitori e figli, tra fratelli, tra sorelle, tra amici in cui le parole vengono dette in modo violento e offensivo ma in cui spesso percepisci che molte volte vengono assorbite all’interno di quel sistema familiare/relazionale in modo acritico, come una modalità comunicativa “normalizzata”: “ sclerare”, “smattare” “impazzire” sono termini usati per definire degli episodi in cui si perde il controllo e la comunicazione; il dialogo cede il posto alle parole urlate, allo sfogo fine a se stesso. Il retro pensiero sembra essere quello del “sono solo parole” come arrivano poi se ne vanno; non rimangano, non sedimentano, non hanno bisogno nemmeno di cicatrizzare perché se ne sminuisce la capacità ferente. E se questo accade nelle relazioni interpersonali ancor di più accade in quelle virtuali, dove l’altro è ancor più distante empaticamente, per cui nella legittimità del libero pensiero, viene scardinata ogni forma di rispetto e di limite che le parole, anche se scritte dovrebbero (e qui uso, ahimè, il condizionale) continuare ad avere.

Questa forma dunque di comunicazione aggressiva la ritroviamo frequentemente su internet nei vari social network, forum, blog e chat dove, rispetto al mondo reale, spesso assume una forma molto volgare e violenta perché non c’è un coinvolgimento diretto (i famosi leoni da tastiera) per cui l’anonimato in molti casi consente alla persona aggressiva/invidiosa di sfogare più liberamente i propri impulsi distruttivi. Molte cose dette o scritte su internet non verrebbero di certo riproposte in un’interazione faccia a faccia (eccezione fatta per il gruppo come branco). Esempio: Ciao come stai? Risposta: “Ma sparati da quanto fai schifo e sei brutta!”

Ma cos’è che scatena tale aggressività verbale? In primis, l’aggressività verbale, così aggressività in generale, spesso scaturisce dalla frustrazione, cioè da una situazione nella quale alla persona viene ostacolato o impedito il raggiungimento di un obiettivo o di una gratificazione considerati importanti. Un altro fattore scatenante dell’aggressività verbale può essere rappresentato dall’assenza o dalla carenza di un’adeguata competenza assertiva, intesa come la capacità di sostenere e difendere in modo efficace le idee precedentemente proposte. Spesso cioè le persone hanno delle basse competenze argomentative e sentono l’esigenza di rispondere a ciò che viene espresso dagli altri e di sostenere le proprie opinioni, ma non possiedono elementi per farlo in modo convincente oppure non sono di grado di esprimerli in modo adeguato. Alla base di tale comportamento si cela spesso una persona insicura e fragile che attacca per non sentire inconsciamente il peso della propria incapacità comunicativa e persuasiva. Infine l’aumentare degli aspetti narcisistici sta mutando ciò che fa soffrire di più molte persone, ossia oltre la maggiore vulnerabilità e il sentimento di vergogna, è aumentato l’aspetto emotivo dell’invidia ossia avere un forte desiderio di avere ciò che l’altro possiede (persona o oggetto) oppure sentire il desiderio di distruggere ciò che l’altro ha o rappresenta. L’individuo non ha qualcuno/qualcosa e vorrebbe ardentemente averla. In alcuni casi, nell’invidioso/a, esiste il desiderio che la persona invidiata perda l’oggetto (bene o affetto) senza che l’invidioso ne tragga poi effettivo vantaggio. Da qui il vedere e il bramare tutto ciò che gli altri hanno, spesso in maniera falsata e artificiosa, accedendo ad una infinita e innumerevole platea che esibisce capacità, bellezza, fama, potere, con un semplice clic, per poi riportati ad una realtà vissuta come svilita e mortificante. L’aspetto dell’invidia non viene quindi usato in modo propulsivo e costruttivo per raggiungere ciò a cui si ambisce ma non si non ha,  ma nel sminuire e criticare, umiliare e distruggere ciò che altri hanno.

Lo psicologo Paul Watzlawick diceva che le parole, il modo di dirle, il modo di comunicare ci indica anche il tipo di relazione che c’è fra le persone: se la relazione è basata sulla violenza anche le parole saranno violente. Se una relazione è basata sull’indifferenza anche le parole saranno espressione di indifferenza e noncuranza. Se la relazione è caratterizzata dall’ invidia anche le parole saranno invidiose. S. Freud, diceva: “In principio parole e magia erano una sola cosa, e perfino oggi le parole conservano molto del loro potere magico. Attraverso le parole ognuno di noi può dare a qualcun altro la massima felicità oppure portarlo alla totale disperazione; attraverso le parole l’oratore trascina il pubblico e ne determina giudizi e decisioni. Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo con cui generalmente influenziamo i nostri simili”

Kaihlil Gibran scriveva negli anni ‘20 a proposito del Conversare: “Voi parlate quando cessate d’essere in pace con i vostri pensieri; E quando non riuscite più a soffermarvi nella solitudine del cuore vivete sulle vostre labbra, e il suono diventa svago e un passatempo. In molte delle vostre conversazioni il pensiero è per metà ucciso. Poiché il  pensiero e un uccello degli spazi, che nella gabbia delle parole può sì spiegare l’ali ma non volare. Taluni tra voi cercano i loquaci perché temono la solitudine. Ne1 silenzio della  solitudine si osservano nudi e vogliono allora fuggire via. Ci sono poi coloro che parlano e senza volontà o intendimento svelano verità che loro stessi non comprendono. E ci sono quelli che hanno in sé la verità, ma non le dicono con le parole. É in seno a costoro che lo spirito alberga nel ritmico suo silenzio. Quando lungo la via o nel mercato incontrate l’amico, lasciate che sia lo spirito a muovervi le labbra e a guidare la vostra lingua. Lasciate che la voce nella vostra voce parli all’orecchio del suo orecchio; La sua anima tratterrà la verità del vostro cuore come si rammenta il sapore del vino. Quand’anche il colore è dimenticato e il bicchiere più non è”.