Adolescenti e genitori: fragilità allo specchio

Ci sono due cose durature che possiamo lasciare 
in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.”
Wiiliam Hodding Carter

“Buongiorno Dottoressa, sono una mamma … non so più cosa fare, sono preoccupata e arrabbiata, mio figlio non vuole più andare a scuola, sta tutto il giorno in camera sua, sempre sul computer, non c’è verso di fargli fare qualcosa, a mala pena ti saluta. Si alza giusto per mangiare e poi si ritira. Non lo riconosco più, non mi ascolta più, non gli interessa di niente e nessuno”. Oppure “mia figlia ha un’ossessione per il cibo, per le calorie, per gli esercizi fisici ecc..” Esempi di richieste che nell’ultimo anno sono diventate sempre più numerose e frequenti. In molte situazioni, le problematiche sono più difficili da gestire tanto da richiedere la presa in carico della neuropsichiatria infantile, a causa di agiti violenti, depressione, autolesionismo, attacchi di panico,  disturbi alimentari gravi, disturbi ossessivi, disturbi della personalità… I servizi pubblici però hanno a loro volta visto moltiplicare le richieste, spostando così la lista di attesa di molti mesi. Una situazione preoccupante e  delicata allo stesso tempo, resa ancora più complessa se il figlio maggiorenne non vuole essere aiutato. I disagi espressi, sovente riguardano quindi un vero e proprio attacco al corpo che rappresenta una voce muta del dolore che i ragazzi provano, ma che al contempo diventa “udibile” al genitore che non può utilizzare stili educativi del passato che possono essere controproducenti e inefficaci, poiché i sintomi dei figli spaventano e preoccupano. L’adolescenza è un periodo difficile, dove l’insicurezza, la paura del giudizio, della accettazione, dell’incertezza, rappresentano il mondo interiore che incontra e spesso si scontra con quello esterno. Gli strumenti psicologici, emotivi, che l’adolescente ha a disposizione per affrontare i compiti evolutivi e per arrivare all’età adulta, non sempre sono adeguati per le sfide e le contraddizioni della vita quotidiana. 

Quando parliamo di adolescenti però non possiamo non cercare di capire e analizzare cosa succede anche al mondo degli adulti che di loro si devono occupare. Madri, padri, insegnanti spesso a loro volta fragili, in affanno, arrabbiati, soli, impotenti che non riescono a fronteggiare nuove forme di disagio con vecchi riferimenti educativi. E davvero essere genitore o insegnante oggi non è un compito facile. Coloro che chiedono aiuto ad un terapeuta molto spesso si mettono in gioco, cercano di capire come migliorare la comunicazione, imparano a lasciare andare il bambino per fare entrare il giovane che sta diventando adulto, ma è ancora nella terra di mezzo.  É importante capire che come dice U. Galimberti,  “il ruolo fondamentale del genitore lo si ha fino ai 12 anni, dopodiché non è più considerato un punto di riferimento, lo è il gruppo di pari.” E il genitore deve sapere tollerare quarta frustrazione, che vale sempre la pena di ricordare è transitoria; se si è costruito un buon rapporto, fatto di rispetto, ascolto, empatia, coerenza, momenti trascorsi insieme, insegnamento di responsabilità, di valori, di affetto, di fiducia, di stima, di senso del dovere, di capacità di prendersi cura di sé e degli altri, dell’ambiente, del tempo libero e di tanti aspetti della vita, se abbiamo dato delle bussole, può darsi che i giovani navigheranno su mari mossi per un po’, spinti dal loro desiderio di scoprire il mondo con la loro testa, ma poi torneranno al porto, solo se questo è però un luogo sicuro. Tornare non significa stare lì, perché i figli devono intraprendere il loro viaggio ma devono sapere che ci siamo. Hanno bisogno di essere accompagnati, sostenuti, capiti, a volte fermati, sollecitati, responsabilizzati e hanno bisogno di adulti più stabili, meno presi dai loro problemi e a volte individualismi perché il rapporto non può essere a quell’età simmetrico, i figli non sono amici, o pari, e soprattutto non si può chiedere loro ciò che molte volte gli adulti per primi non fanno. Migliaia di informazioni riempiono la mente dei ragazzi, video, immagini, dove cercano risposte a domande non sempre facili da fare in famiglia, con tutta la possibilità di approssimazione che questo può comportare. In tanti anni di lavoro clinico, i ragazzi mi hanno trasmesso il loro desiderio primario di essere ascoltati, il desiderio di esprimere anche le loro convinzioni assolute tipiche dell’adolescenza, ma sempre pronti al confronto, all’ascoltare un punto di vista diverso, non la verità dell’adulto, ma solo un’altro modo di leggere le esperienze o di dare un nome alle emozioni. “Ti presto i miei occhiali, né meglio né peggio solo diversi” dico sempre ai miei pazienti. Ultima riflessione: in ambito preventivo c’è ancora molta strada da percorrere, è fondamentale che si creino più sinergie tra tutti gli interlocutori preposti alla crescita e sviluppo dei giovani: famiglia, scuola, territorio, attività sportive, comuni, ad oggi troppo spesso portatori di una visione unica, non integrata, ognuno a difendere la propria realtà a discapito di una visione d’insieme e di collaborazione.

 

La fatica di ricominciare

 

 La gioia contagia, il dolore isola.
(Alessandro Morandotti)

 

Le giornate passano, si susseguono, è arrivata la primavera, l’attendevamo con speranza e fiducia. Finalmente possiamo riprenderci la vita, le belle giornate di sole, le camminate, sentire le  risate e il vociare dei bambini che si rincorrono, urlano, giocano. E poi possiamo incontrare amici e parenti con più serenità e desiderio. Sono trascorsi più di due anni dall’inizio della pandemia, un fenomeno sociale così potente ed intenso che non possiamo  non fermarci ad osservare e riflettere su ciò che ha lasciato dietro di sé ma che, essendo ancora attuale, continua a modificare abitudini e stati d’animo. Non ha sicuramente aiutato nell’affrontare i timori e le ansie, lo scatenamento di una guerra che percepiamo come più vicina a noi generando paura, dispiacere e preoccupazione, mista ad un senso di colpa che ci fa sentire in imbarazzo nel desiderare un po’ di spensieratezza e divertimento. Nella pratica clinica sempre più persone si rivolgono a me per disturbi d’ansia, attacchi di panico e depressione. Ma oltre alle persone che accedono in terapia ce ne sono moltissime che stanno facendo un’enorme fatica a ricominciare “a vivere”. Stanchezza, noia, anedonia ossia l’incapacità, totale o parziale, di provare soddisfazione, appagamento o interesse, per le consuete attività piacevoli, quali il cibo, il sesso e le relazioni interpersonali, sono i problemi più diffusi in questo periodo storico. Tutto diventa faticoso, la casa luogo in cui prima ci sentivamo stretti, viene ora percepita per molti come luogo rassicurante. La mancanza di desiderio, di conoscere, sperimentarsi, aumentare la socialità è un problema molto più diffuso di quello che si pensa soprattutto tra i giovani. Non mi riferisco nello specifico al fenomeno dell’Hikikomori, nato in Giappone che significa letteralmente “mettersi da parte” che consiste nel desiderio e nella spinta all’isolamento fisico, continuo nel tempo, che si manifesta come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche economicamente sviluppate e che negli ultimi anni è cresciuto anche in Italia soprattutto tra i maschi di età compresa tra i 15 e i 25 anni.

La mia riflessione svolge lo sguardo a persone che non si isolano totalmente, lavorano, studiano ma risentono di una mancanza di stimoli, di progettualità che viene vissuta però come “normalità”. Sono spesso le persone accanto a far emergere il problema: partner, genitori, che iniziano a preoccuparsi e a sentirsi e/o vedere chiuse le persone a cui vogliono bene, provando sentimenti di preoccupazione mista a rabbia, impotenza e frustrazione. Spesso alla domanda su come si trascorre il tempo libero la risposta è guardando le serie tv o dormendo. Ragazzi che dovrebbero avere l’argento vivo, si sentono spenti, stanchi, demotivati, senza ambizioni, sogni e desideri. Va sottolineato che mentre per gli adulti possiamo parlare della fatica di ricominciare, per gli adolescenti e i giovani adulti possiamo parlare di incominciare perché due anni di limitazioni delle relazioni sociali non gli hanno permesso di iniziare o consolidare le relazioni, almeno direttamente con la società. Quando però il rifiuto di uscire o relazionarsi non è momentaneo ma continuo e resistente alle varie sollecitazioni dei familiari, partner, amici ecc… possiamo pensare ad un vero e proprio disturbo. Ci siamo abituati ad avere uno sguardo sul mondo attraverso il web, il mondo entra nelle nostre case, possiamo conoscere storie, pezzi di vita, mode, tutto a portata di mano. Ma c’è una grande differenza tra il conoscere passivamente e fare esperienze. Molti ragazzi/e hanno molte informazioni ma provano ansia nel gestire ed occuparsi di piccole e medie incombenze, sono vulnerabili e se l’ansia diventa invasiva, preferiscono evitare di esporsi o sperimentare, innescando così un circuito che li rende sempre più insicuri. Ed è proprio a loro che bisogna tendere una mano, non spronandoli con disappunto, perché per molti non é una questione di scarsa volontà, ma di difficoltà, aiutiamoli a riprendersi “il mondo”, quello vicino, a portata. Un passo alla volta, torniamo a guardare fuori dalle nostre stanze reali e virtuali. Il contatto con la natura, l’utilizzo di tutti i nostri sensi, l’importanza della luce solare, parlare con gli altri, avere e dare feedback è fondamentale per riprenderci da un “letargo” che è durato fin troppo tempo.