La paura del pericolo è diecimila volte più agghiacciante del pericolo stesso:
il peso dell’ansia ci pare più greve del male temuto.
Daniel Defoe
Che cos’è il Disturbo d’Ansia?
I disturbi d’ansia sono stati per lungo tempo considerati forme di nevrosi, ovvero un insieme molto vasto di disturbi caratterizzati da ansia non legata a ragioni obiettive e da altri problemi associati. Questi disturbi vennero concettualizzati grazie al lavoro clinico svolto da Sigmund Freud sui suoi pazienti; di conseguenza, la categoria diagnostica delle nevrosi finì per essere connessa con la teoria psicanalitica. Inizialmente vennero inseriti nel gruppo delle nevrosi disturbi molto diversi fra loro, utilizzando come criterio diagnostico il fatto che alla base di tutti vi fosse un problema di ansia rimossa.
Col trascorrere del tempo diversi psicopatologi iniziarono a mettere in discussione l’opportunità di mantenere in vita il concetto di nevrosi, dato che era diventato talmente esteso e onnicomprensivo da svuotarsi di ogni significato quale categoria diagnostica. A partire dalla terza versione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e specialmente nella quarta, le vecchie categorie delle nevrosi vengono redistribuite tra nuove e più precise categorie diagnostiche; fra queste i disturbi d’ansia.
Il temine ansia deriva dal latino “angere” e significa “stringere”, con questo termine si indica uno stato psicofisico di natura spiacevole in cui la persona avverte un senso di allarme, di apprensione e paura. Tale sensazione può avvenire anche in assenza di uno stimolo esterno reale procurando alla persona una sensazione di pericolo e/o minaccia che lo pone in un continuo stato di allerta.
Con il termine ansia si intende una reazione automatica, fisiologica, istintiva e naturale da parte del nostro organismo, ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa che interpretiamo come un pericolo per la nostra sopravvivenza.
In questo caso, una parte del nostro cervello registra l’evento come pericoloso e attiva istantaneamente il sistema nervoso autonomo, che a sua volta rilascia adrenalina.
L’adrenalina è un ormone prodotto dall’organismo, che ha lo scopo di preparare il corpo a scappare o a difendersi con tutte le sue forze dal pericolo imminente.
L’azione dell’adrenalina provoca cambiamenti fisiologici automatici e istantanei che danno come risultato anche sensazioni fisiche abbastanza tipiche a cui noi diamo il nome di “ansia”.
Se per la sopravvivenza della specie una dose di ansia è da ritenersi non solo normale ma auspicabile, poiché ci avverte di eventuali pericoli esterni (ansia fisiologica) quando diventa troppo intensa, sproporzionata o incongrua al reale stimolo esterno allora parliamo di ansia patologica. L’ansia è in questo caso da intendersi come una paura in assenza di evidente pericolo.
L’ansia patologica è quella costantemente presente nei Disturbi d’Ansia ossia nelle patologie che hanno in comune la prevalenza, nella sintomatologia, del sintomo ansioso.
Il DSM V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) propone sei categorie principali:
– Disturbo d’ansia da separazione
– Mutismo selettivo
– Fobie specifica
– Disturbo d’ansia sociale(fobia sociale)
– Disturbo di Panico (DAP)
– Agorafobia
– Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
– Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci
– Disturbo d’ansia dovuto a un’altra condizione medica
Accade di frequente che un persona che soffre di un disturbo d’ansia, manifesti anche sintomi considerati parte di un altro disturbo d’ansia; in questo caso si parla di comorbilità. Ciò dipende da due fattori: innanzitutto dal fatto che i sintomi che rientrano in questa categoria di disturbi non sono completamente specifici; per esempio i segni somatici dell’ansia (sudorazione, tachicardia ecc.) sono comuni sia al disturbo di panico, sia a quello d’ansia generalizzato che al disturbo post-traumatico da stress. In secondo luogo, le teorie correnti circa l’origine dei disturbi d’ansia sono applicabili a più di un disturbo; è stato proposto, per esempio, che l’incapacità di controllare i fattori di stress in cui ci si imbatte sia un aspetto importante nell’origine sia delle fobie che del disturbo d’ansia generalizzato. Anche i Disturbi d’Ansia e Disturbi dell’Umore possono essere contemporaneamente presenti nella stessa persona. In alcuni casi possono essere prevalenti i sintomi della serie ansiosa, in altri quelli della serie depressiva. Può anche verificarsi che, nello stesso paziente, in alcune fasi della vita siano prevalenti i sintomi ansiosi mentre in altre prevalgano quelli depressivi.
DISTURBO D’ANSIA DA SEPARAZIONE
Che cos’ è il Disturbo d’Ansia da Separazione (DAS)
Nel disturbo d’ansia di separazione vi è una presenza di paura o ansia eccessiva rispetto alla separazione dalle figure di attaccamento. Nell’ultima versione del DSM-V (Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi mentali) il disturbo d’ansia da separazione, precedentemente di pertinenza dell’infanzia, viene ora codificato anche per gli adulti. Sovente il disturbo d’ansia da separazione è associato all’ansia generalizzata e può gravemente limitare la capacità di una persona di viaggiare e lavorare fuori casa.
Criteri diagnostici dell’ansia da separazione:
– Ricorrente ed eccessivo disagio quando si prevede o si verifica una separazione da casa o dalle principali figure di attaccamento
– Eccessive preoccupazioni relative al benessere o alla morte delle figure di attaccamento, soprattutto quando si separano da loro, le persone con tale disturbo, hanno bisogno di sapere dove si trovano e vogliono stare in contatto con loro.
– Eccessiva preoccupazione che riguarda eventuali imprevisti per se stessi, come ad esempio perdersi, essere rapiti, avere un incidente che impedirebbe per sempre di ritrovare la principale figura di attaccamento
– Rifiuto o riluttanza all’idea di uscire da soli per paura della separazione
– Rifiuto o riluttanza con una eccessiva paura nel restare da soli o senza le figure di attaccamento a casa in altri ambienti. In particolare, i bambini con disturbo d’ansia di separazione possono non essere in grado di stare o andare nella loro camera da soli. Possono manifestare un comportamento “appiccicoso” stando sempre vicini al genitore, anche andando loro dietro in giro per casa e chiedendo che qualcuno stia con loro quando si recano un’altra stanza.
– Rifiuto o riluttanza di andare a dormire senza avere vicino una delle principali figure di attaccamento oppure di andare dormire fuori casa (esempio dai nonni). I bambini con questo disturbo spesso hanno difficoltà ad andare a letto, possono insistere affinché qualcuno stia con loro fino a quando non si addormentano. Durante la notte possono svegliarsi e andare nel letto dei genitori. Possono inoltre avete difficoltà a fare delle esperienze fuori casa di tipo aggregativo ad esempio andare in campeggio. Negli adulti questa si difficoltà può essere evidenziata nella difficoltà di trovarsi a disagio nel dormire da soli ad esempio in un albergo. Può essere presente inoltre un’attività onirica disturbata da ripetuti incubi in cui il contenuto rileva l’ansia da separazione come ad esempio la distruzione della famiglia, una catastrofe, ecc.
-Sono presenti inoltre sintomi fisici quali: dolori di stomaco, nausea e vomito, mal di testa. Negli adulti oltre ai sopra citati sintomi si possono rilevare sintomi cardiovascolari come le palpitazioni, le vertigini, e sensazioni di svenimento.
La prevalenza stimata del DAS, secondo la letteratura internazionale, è stata calcolata pari al 3-4% di tutti i bambini in età scolare e all’1% di tutti gli adolescenti. Soltanto negli ultimi quindici anni si è evidenziata la possibilità che il disturbo non possa essere confinato esclusivamente nell’infanzia e nell’adolescenza bensì, come altri disturbi d’ansia, il DAS può permanere come tale anche in età adulta, esprimendosi con sintomi caratteristici del nuovo contesto in cui il disturbo si manifesta.
Il Disturbo d’Ansia di Separazione dell’adulto si è dimostrato una patologia che riguarda circa 09-1,9% (popolazione americana) che ha un forte impatto non solo sulla qualità della vita dei pazienti, ma soprattutto sugli esiti delle terapie intraprese, riferite come inefficaci e, spesso, problematiche.
Tale disturbo risulta essere più frequente nella popolazione tra le femmine. Nei bambini , il disturbo è distribuito equamente tra maschi e femmine.
Affinché sia diagnosticato un disturbo d’ansia di separazione, il disturbo deve durare almeno quattro settimane nei bambini e negli adolescenti minori di 18 anni. Per gli adulti invece di almeno sei mesi o più. Vi è tuttavia la possibilità di diagnosticare tale disturbo con una valutazione clinica e quindi con una maggiore flessibilità. L’aspetto rilevante riguarda infatti il disagio che può essere inteso come clinicamente significativo tale da compromettere un buon funzionamento nell’ambito sociale lavorativo attivo affettivo.
QUALE TERAPIA?
Il bambino con una diagnosi di Disturbo d’Ansia da Separazione, sovente, vive in un contesto familiare piuttosto particolare. Il bambino è sempre molto dipendente dalla sua famiglia, la madre può avere una personalità ansiosa e iperprotettrice nei confronti del figlio, con il quale mette in atto un continuo gioco di identificazioni.
Al fine di aiutare il bambino è opportuno un trattamento psicoterapeutico di tipo familiare. Il terapeuta, tuttavia, deve essere attento che i genitori non invadano gli spazi del bambino. Il terapeuta deve, astenersi nel dare consigli ai genitori, ed aiutarli nella responsabilizzazione, fidandosi delle loro capacità di comprensione e di progresso, creando una solida alleanza volta al benessere del bambino. L’obiettivo terapeutico ha come fine l’accrescimento da parte del bambino, di nuove esperienze volte ad acquisire maggiori capacità di autoaccudimento e di tranquillità, anche quando i genitori non sono presenti. Ciò significa che il terapeuta deve lavorare, in primo luogo, nel contenere le ansie dei genitori. L’ansia infatti può fungere da schermo protettivo nei confronti di emozioni dolorose che altrimenti rischierebbero di affiorare alla consapevolezza. Le emozioni dolorose che tipicamente vengono celate includono rabbia, collera, vergogna, umiliazione e disperazione. I genitori hanno bisogno di riconoscere e accettare questi stati d’animo, esplorando i vissuti interni del paziente. Affinché il bambino recuperi la propria possibilità di avventurarsi nel mondo è, infatti, necessario che i genitori riapprendano o apprendano per la prima volta ad accettare la loro esperienza nel ‘qui e ora’. Essi devono imparare a rimanere in contatto con l’ansia per iniziare a sperimentare le emozioni negate legate a situazioni, percepite, come catastrofiche del passato. Quando i genitori riescono a fare questo, iniziano a vedere che non sono realmente in pericolo nel presente.
Per quanto riguarda l’adulto, il lavoro terapeutico, si concentra sugli aspetti ansiosi, sull’analisi delle figure di attaccamento, sulle resistenze all’emancipazione e all’indipendenza psicologica e/o fisica dalle figure di attaccamento. Sovente, soprattutto nei giovani adulti, le relazioni intrafamiliari rivelano aspetti collusivi e ambivalenti. Vi è un desiderio di emancipazione del proprio figlio/a poiché si inizia ad avvertire una preoccupazione per i sintomi fisici riportati, ma anche per la mancanza di autonomia che spinge il genitore ad essere sempre presente, allo stesso tempo, inconsapevolmente si possono lanciare segnali di ansia quando il figlio inizia a separarsi psicologicamente. Molto frequenti possono essere gli attacchi di panico quando la possibilità di separazione inizia a concretizzarsi.
FOBIA SPECIFICA
Che cos’è una fobia?
Il termine fobia (dal greco φόβος, phóbos, “panico, paura”) indica un’irrazionale e persistente paura e repulsione di certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone. Le fobie sono un disturbo psicologico che ha un’ampia incidenza tra la popolazione mondiale. Si stima che circa il 20% delle persone ha una fobia. Una persona fobica sente una paura esagerata e senza sostentamento reale dinanzi a determinate situazioni od oggetti, e in certe occasioni questo può provocare persino malessere fisico: tremori incontrollabili, vertigini, sudorazione eccessiva, batticuore, ecc. Il tasso di prevalenza di tali disturbi si aggira attorno al 7% negli uomini e al 16% nelle donne. Il contenuto delle fobie specifiche varia notevolmente da una cultura all’altra, pertanto, le convinzioni più diffuse all’interno di una cultura sembrano in grado di incanalare le paure individuali verso particolari situazioni od oggetti.
Le fobie specifiche sono paure ingiustificate, causate dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o di una situazione specifici. Il termine fobia in genere implica una sofferenza psicologica soggettiva e una menomazione del funzionamento sociale o lavorativo come conseguenza dell’ansia.
I sintomi principali dei pazienti con fobie specifiche sono:
-paura e condotte di evitamento.
La paura, in genere mista a sentimenti di repulsione e di disgusto, è sempre giudicata dal paziente irrazionale e non commisurata alla natura o alla pericolosità dello stimolo. Le condotte di evitamento possono essere in parte invalidanti, a seconda della diffusione e delle possibilità di incontro con gli oggetti o con le situazioni temute.
I fobici tendono a evitare le situazioni o condizioni che associano alla paura, ma alla lunga questo meccanismo costituisce una micidiale trappola: ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara all’evitamento successivo. Si crea, così un circolo vizioso, che da una parte porta a essere sfiduciati nelle proprie capacità e dall’altra compromette le relazioni sociali, perché pur di evitare la cosa temuta si è pronti a rinunciare alche ad una felice uscita tra amici. Ad esempio chi ha la fobia dell’aereo può rinunciare a dei viaggi; chi ha paura degli aghi e delle siringhe può rinunciare a controlli medici; chi ha paura dei piccioni non attraversa le piazze, e così via.
È difficile determinare quali siano le fobie più comuni poiché variano a seconda del sesso e dell’età – gli adolescenti patiscono fobie sociali con maggiore frequenza degli adulti, vengono elencate quelle considerate più frequenti:
-Aerofobia: si tratta della molto comune paura a viaggiare in aereo (si calcola, di fatto, che solo il 5% dei passeggeri salgono in aereo senza timori di sorta). Tuttavia, le persone che patiscono di questa fobia non sentono solo una leggera inquietudine al momento dell’atterraggio e del decollo, ma in occasioni le fobie gli impediscono di pensare soltanto ad una viaggio di questo tipo o recano disturbi di ansietà dinanzi alla prospettiva di un futuro viaggio, persino mesi prima di portarlo a termine.
– Aracnofobia: si tratta della paura dei ragni. Si calcola che la metà delle donne e il 10% degli uomini patiscono di un qualche grado di questa fobia. Le reazioni di queste persone risultano esagerate per gli altri e persino per gli stessi fobici. Queste persone cercano di mantenersi lontano dai luoghi dove possono trovarsi ragni, o dove hanno visto ragnatele. Nei casi più seri, il panico può essere scatenato persino vedendo una fotografia.
-Acrofobia: si tratta della paura delle altezze, non semplici vertigini ma un timore che porta all’ansietà a chi ne patisce. La fobia di solito si manifesta in situazioni quali affacciarsi ad un balcone, essere in un belvedere in alto o vicino a un burrone. Come succede anche in altre fobie, coloro che ne patiscono cercheranno di evitare la situazione temuta.
-Brontofobia: sono comuni le fobie che coinvolgono elementi climatici o determinati fenomeni meteorologici, è questo il caso della brontofobia. Consiste nella paura estrema dei fulmini e tuoni e delle tormente. Colui che partisce questa fobia sarà allarmato sia prima che durante le tormente, e nei casi estremi patirà i sintomi dell’ansietà. Può persino veder influenzata la sua vita sociale, poiché la pianificazione delle sue attività dipende dalle previsioni meteorologiche e piò non recarsi al lavoro o modificare le abitudini per via del clima.
-Carcinofobia: si tratta della paura di contrarre il cancro. È uno dei timori più comuni dal momento in cui la maggior parte degli adulti sentono apprensione dinanzi la possibilità di manifestare i sintomi di questa malattia. Tuttavia, nel caso dei fobici si tratta di una paura molto antinaturale, poiché dimostrano di temere qualsiasi sintomo fisico negativo, associandoli tutti a sintomi della malattia.
– Cinofobia: paura dei cani; definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata dei cani o della rabbia che questi potrebbero trasmettere. Molte persone sviluppano timore verso i cani. Il fatto che si tratti di animali da presa addomesticati e il numero crescente di casi di attacchi canini riportati dai mezzi di comunicazione possono far crescere questa paura. Le persone che hanno un buon rapporto con i cani possono pensare che la fobia a questi animali è “ridicola”, ma di fatto è abbastanza comune. In molti casi non c’è stato un evento scatenante, ma il timore si è sviluppato per una serie di motivi che vanno dal fomento sociale fino alla semplice ignoranza. La paura può dirigersi verso tutti i cani o solo verso una certa razza, colore o misura.
–Claustrofobia: al contrario dell’agorafobia, questo disturbo implica il timore di restare confinato in spazi chiusi. Si calcola che tra un 2 e un 5% della popolazione mondiale patisce di questa fobia. Queste persone tendono a evitare ascensori, metrò, tunnel, stanze piccole, persino porte girevoli possono presentare difficoltà, come anche l’uso di attrezzature per tecniche mediche diagnostiche come la TAC.
-Emetofobia: si tratta della paura del vomito o di vomitare. Ci sono persone che sentono più di una semplice avversione verso l’atto di vomitare e che persino cambiano le loro consuetudini alimentari e sociali in conseguenza di ciò (per esempio, evitano di mangiare in ristoranti per timore che il cibo servito possa produrre mal di stomaco). Sebbene solo nei casi più estremi si considera fobia, si calcola che il 6% della popolazione ha paura di vomitare.
-Necrofobia: la paura della morte è qualcosa di naturale e istintivo nell’uomo, possibilmente perché la morte è lo sconosciuto. Inoltre, si associa la morte con i patimenti che la precedono, dolore, sofferenza, ecc. Tuttavia, alcune persone soffrono di una vera fobia verso la morte e gli esseri morti. Coloro che patiscono di questa condizione non possono spiegare il senso agghiacciante che sentono al avere quando vedono a una mummia o a un cadavere.
– Ofidiofobia: è la paura morbosa, persistente, anormale e ingiustificata degli ofidi (l’ordine dei rettili apodi che comprende tutti i serpenti).È una delle fobie più comuni, specialmente tra quelle che si trovano nel gruppo della zoofobia (paura degli animali) e come tutte le fobie anche questa può presentarsi con carattere irrazionale, eccessivo o persistente. Può generare delle condotte di evitamento come ad esempio evitare di camminare nell’erba alta o in qualsiasi zona in cui questi animali possano nascondersi facilmente, perfino nelle regioni dove è esclusa con assoluta certezza la presenza di ofidi di qualsiasi specie.
-Tafiofobia: è la paura persistente, anormale e ingiustificata di essere seppellito vivo, oppure dei cimiteri. Il termine proviene dal greco “tafo” (tomba) e “phobos” (paura). Per estensione, si usa il termine per la paura delle tombe, anche più in genere è riferito alla paura morbosa di essere seppellito prematuramente.
-Sociofobia: si tratta di una paura persistente e intensa di essere giudicato negativamente nelle occasioni sociali. È una fobia tra le più comuni fra adolescenti e giovani e si calcola che circa un 4% delle persone tra 18 e 55 anni la patiscono. A differenza di quanto succede nella maggioranza delle fobie, questa fobia sociale è ugualmente comune tra uomini e donne.
Quale Terapia?
Le cause della comparsa di una fobia non sempre sono chiare. La maggior parte di esse hanno origine nell’infanzia, sebbene non debbano esser confuse coi normali timori infantili che si superano man mano che il bambino matura. Le fobie persistono nell’età adulta e possono persino incrementarsi ancor quando il paziente sia conscio del fatto che le sue paure sono irrazionali e senza fondamento.
Se le fobie diventano croniche possono provocare un forte disagio, e possono altresì compromettere un buon funzionamento sociale e relazionale, data l’intensa sofferenza soggettiva che prova l’individuo. È importante rivolgersi ad un professionista che possa aiutare a superare questo tipo di disturbo e a cambiare le condizioni individuali e relazionali che concorrono al mantenimento della sintomatologia. È importante conoscere i diversi fattori implicati nel problema (che cosa scatena la fobia, che cosa la predispone, quali soluzioni sono state provate). Il paziente e il terapeuta devono mantenere un rapporto fluido che permetta loro di elaborare obiettivi da raggiungere con la terapia.
Gli obiettivi terapeutici sono quindi un’analisi delle paure e delle angosce sottese, al fine di eliminare la fobia, vi sono però anche altri obiettivi che riguardano anche l’aumento del senso di sicurezza e fiducia, l’aumento della capacità di tollerare l’angoscia e la regolazione degli stati affettivi ed emotivi, una riduzione delle paure che impediscono o limitano il coinvolgimento interpersonale.
DISTURBO D’ANSIA SOCIALE (FOBIA SOCIALE)
Che cos’è il Disturbo da fobia sociale?
Un altro tipo di fobia molto comune è la fobia sociale, che è il disturbo per il quale la persona manifesta un timore e un’ansietà eccessive dinanzi a situazioni che implichino esibirsi o parlare in pubblico. La fobia sociale non deve essere confusa con la timidezza, poiché nel caso della fobia questa paura implica un impedimento per la persona al momento di agire in società con normalità, nel suo ambiente lavorativo o familiare.
Si definisce fobia sociale, detta anche disturbo d’ansia sociale, una paura irrazionale e persistente, generalmente collegata alla presenza di altre persone.
Le persone affette da fobia sociale provano ansia, tensione, timore irrazionale, tali da produrre spesso veri propri attacchi di panico quando ad esempio la persona deve parlare in pubblico anche di fronte a poche persone o si trova al centro dell’attenzione o deve interagire con persone che non gli sono familiari e di cui teme il giudizio. Spesso il disturbo si complica con una sindrome depressiva; più di un terzo dei pazienti affetti da fobia specifica sociale sperimenta un quadro depressivo importante. In altre situazioni il paziente può ricorrere all’uso di sostanze soprattutto l’alcol come forma di autoterapia in quanto gli effetti disinibenti dell’alcol possono aiutare ad affrontare delle situazioni fobiche, in alcuni casi questa tendenza può sfociare in un vero proprio abuso e/o dipendenza.
La persona teme di essere preso in giro o di apparire in un determinato modo oppure mostrerà sintomi di ansia, come arrossire, tremare, sudare, inciampare nelle parole e che sarà quindi valutato negativamente da parte degli altri.
Questa condizione può essere estremamente debilitante, in quanto chi ne soffre cerca di evitare una particolare situazione in cui potrebbe essere oggetto di valutazione da parte di altri e rivelare segni di ansietà o manifestare un comportamento imbarazzante. Le difficoltà riscontrate nello stabilire adeguati rapporti interpersonali e sociali sono sempre vissute con sofferenza ed il paziente si lamenta dei problemi che incontra, dell’isolamento e del ritiro in cui è costretto a vivere. Il disagio provocato dal disturbo condiziona scelte ed abitudini di vita. Quando le condotte di evitamento sono generalizzate, il disturbo diventa invalidante e favorisce lo sviluppo di sentimenti d’inadeguatezza e d’inferiorità. Le fobie sociali possono essere di tipo generalizzato o specifico, a seconda della gamma di situazioni temute ed evitate. Molte persone sviluppano una ansia anticipatoria che può risultare particolarmente disturbante per intensità e durata. Ad esempio il sapere che, anche a distanza di mesi, il paziente dovrà fronteggiare una situazione temuta può generare una condizione persistente di attesa ansiosa.
I maggiori sintomi del Disturbo da Ansia sociale:
– Eccessivo autocoscienza dell’ansia, in situazioni sociali quotidiane
– Preoccupazione intensa per giorni, settimane o addirittura mesi prima di una situazione sociale
– Estrema paura di essere osservato o giudicato dagli altri
– La paura di agire in modo da creare imbarazzo o umiliazione
– Paura che gli altri notino che sei nervoso – Arrossire – Difficoltà nella respirazione
– Disturbi di stomaco, nausea
– Tremore o agitazione (compresa la voce tremante)
– Senso di oppressione nel petto
– Sudorazione o vampate di calore
– Sensazione di vertigini o svenimento
Le fobie sociali sono piuttosto comuni, secondo alcuni studi, la percentuale di persone che ne soffre va dal 3% al 13%. Sempre secondo questi studi sembra che l’ansia sociale caratterizzi più le donne che gli uomini. Il loro esordio è spesso localizzato durante l’adolescenza, quando la consapevolezza sociale e l’interazione con gli altri assumono un’importanza molto maggiore nella vita della persona. Non è raro tuttavia che queste paure si manifestino anche tra i bambini. Come per le fobie specifiche, il contenuto delle fobie sociali varia in base alla cultura di appartenenza. In Giappone, per esempio, ha un ruolo di primo piano la paura di recare offesa agli altri; negli Stati Uniti è più comune la paura di essere valutati negativamente dagli altri.
Quale Terapia?
Le cause della comparsa di una fobia non sempre sono chiare. La maggior parte di esse hanno origine nell’infanzia, sebbene non debbano esser confuse coi normali timori infantili che si superano man mano che il bambino matura. Le fobie sociali persistono nell’età adulta e possono persino incrementarsi ancor quando il paziente sia conscio del fatto che le sue paure sono irrazionali e senza fondamento.
Se le fobie diventano croniche possono provocare un forte disagio, e possono altresì compromettere un buon funzionamento sociale e relazionale, data l’intensa sofferenza soggettiva che prova l’individuo. È importante rivolgersi ad un professionista che possa aiutare a superare questo tipo di disturbo e a cambiare le condizioni individuali e relazionali che concorrono al mantenimento della sintomatologia. È importante conoscere i diversi fattori implicati nel problema (che cosa scatena la fobia, che cosa la predispone, quali soluzioni sono state provate). Il paziente e lo specialista debbono mantenere un rapporto fluido che permetta loro di elaborare obiettivi da raggiungere con la terapia. Gli individui con disturbo d’ansia sociale spesso sovrastimano le conseguenze negative delle situazioni sociali, e quindi spetta al clinico stabilire se sono sproporzionate o meno. Quando viene formulata tale valutazione, dovrebbe essere presa in considerazione anche il contesto socioculturale dell’individuo. Questo perché in determinate culture il comportamento che potrebbe apparire altrimenti socialmente ansioso può essere considerato appropriato in altri contesti sociali (ad esempio può essere un segno di rispetto).
Gli obiettivi terapeutici sono quindi un’analisi delle paure e delle angosce sottese, al fine di eliminare la fobia, vi sono però anche altri obiettivi che riguardano anche l’aumento del senso di sicurezza e fiducia, l’aumento della capacità di tollerare l’angoscia e la regolazione degli stati affettivi ed emotivi, una riduzione delle paure che impediscono o limitano il coinvolgimento interpersonale.
DISTURBO DA PANICO
Cos’ è il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP) ?
Gli attacchi di panico sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell’ansia normalmente presente. Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta.
Il Disturbo da Attacchi di Panico colpisce prevalentemente l’età giovanile e i più recenti studi epidemiologici mettono in evidenza il fatto che ne è interessato il 33% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, nel senso che un giovane su tre di questa fascia incontra uno dei multiformi aspetti della sintomatologia DAP. Il tasso di prevalenza del disturbo di panico nell’arco della vita è del 2% circa negli uomini e di oltre il 5% nelle donne.
Il Disturbo da Attacchi di Panico è caratterizzato dal ripetersi di stati d’ansia acuti ad insorgenza improvvisa e di breve durata. Gli episodi acuti sono accompagnati da sintomi neurovegetativi e psicosensoriali di frequenza e di intensità variabili molto diversiva persona a persona. Spesso i sintomi compaiono in maniera improvvisa e drammatica; la crisi è vissuta con un senso penoso d’impotenza, di paura e di mancanza di controllo. La caratteristica dell’attacco di panico è la durata della crisi che deve essere breve: in genere pochi secondi o minuti. Dopo l’attacco di panico segue un periodo prolungato, anche di molte ore, in cui sono presenti sensazioni di “testa confusa”, spossatezza, sensazioni di sbandamento, vertigini.
Una della peculiarità degli attacchi è che si verificano all’improvviso, nel senso che, al momento dell’attacco, non è presente una situazione in grado di costituire motivo d’ansia.
Le persone riferiscono che al momento dell’attacco stavo svolgendo le solite attività giornaliere come ad esempio guidando la macchina, facendo la spesa, passeggiando per strada. Gli attacchi possono verificarsi in situazioni in cui paiono essere del tutto ingiustificati; in questi casi si parla di attacchi di panico inaspettati (non provocati). In alcuni casi invece, il primo episodio si manifesta in situazioni drammatiche della vita del paziente, come gravi incidenti o morti improvvise di persone care. Quando sono fortemente associati a fattori scatenanti di tipo situazionale, vengono definiti attacchi di panico causati dalla situazione (o provocati dalla situazione); quando tra l’esposizione allo stimolo e l’attacco esiste sì una relazione, ma meno forte rispetto al caso precedente, si parla di attacchi di panico sensibili alla situazione. Infine nel 50% dei casi, sia la prima crisi sia quelle successive compaiono durante il sonno, determinando un risveglio angosciato.
L’assunzione di sostanze stupefacenti, in particolare marijuana, cocaina, amfetamine può aumentare notevolmente lo sviluppo di attacchi panico.
I maggiori sintomi del DAP sono:
-dispnea (difficoltà di respiro, senso di affanno)
-palpitazioni
-nausea
-dolore al petto
-sensazioni di soffocamento e asfissia
-capogiri
-sudorazione
-tremori
-vampate di calore
-brividi di freddo
-intensa apprensione
-terrore e sensazione di disastro incombente
-paura di perder il controllo
-paura di diventare pazzo
-paura di morire
-depersonalizzazione (il soggetto si sente come distaccato dal proprio corpo)
-derealizzazione (il soggetto ha la sensazione di non essere reale, né lui né ciò che lo circonda e ha l’impressione che intorno a sé il senso della realtà sia alterato).
La caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza di attacchi di panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico. La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenze degli attacchi d’ansia e cambia il proprio comportamento in conseguenza degli attacchi, principalmente evitando le situazioni in cui teme che essi possano verificarsi.
Non tutti i sintomi sono necessari perché si tratti di un attacco di panico. Vi sono molti attacchi caratterizzati solo o in particolare da alcuni di questi sintomi. La frequenza e la gravità dei sintomi degli attacchi di panico varia ampiamente nel corso del tempo e delle circostanze. Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (per es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti, magari con sintomi dell’attacco di panico meno intensi (per es., quotidianamente per una settimana), intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., due ogni mese) per molti anni. Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli individui con sintomi di attacco di panico paucisintomatico, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi, con tutti i sintomi classici, in qualche momento nel corso del disturbo. Nel 20% dei casi si manifesta un’elaborazione ipocondriaca: i pazienti temono o sono convinti di soffrire di una malattia fisica, chiedono ripetutamente l’intervento del medico internista o di altri specialisti e del Pronto Soccorso. Le preoccupazioni ipocondriache riguardano in genere il timore di una grave malattia cardiaca, come l’infarto o la paura di una morte improvvisa per ictus cerebrale. Il disturbo di panico è molto frequente fra coloro che soffrono già di un altro disturbo d’ansia, per esempio nel caso in cui sia presente il disturbo d’ansia generalizzato o una fobia inoltre è molto comune anche la coesistenza del disturbo di panico e del disturbo depressivo maggiore.
La paura della paura…
Il circolo del panico si fonda sulla paura della paura, cioè il timore di tutti quei segnali fisici che corrispondono alla paura (es: affanno, tachicardia, brividi, pressione al petto ecc…). La paura prepara il corpo a reagire ad una ipotetica minaccia.
Quando uno dei segnali corporei della paura viene esso stesso interpretato come una minaccia, il corpo reagisce aumentando i segnali della paura. Si innesca in questo modo un vortice di apprensione e la paura si trasforma in panico.
Il vortice del panico è favorito dal fatto che il cambiamento fisiologico iniziale è spesso improvviso e inspiegabile. Il panico può spaventare a tal punto da diventare oggetto di preoccupazione (ansia anticipatoria) ossia la persona può iniziare a temere di avere nuovi attacchi di panico. Con la paura degli attacchi di panico può diventare diventare molto faticoso uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via. L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità prevalente ed il paziente diviene vittima dei suoi attacchi di panico, costringendo spesso tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere un adulto ma dipendente dagli altri. Per il paziente, l’associazione dell’attacco di panico e l’ambiente in cui questo si manifesta, diventa quasi un fatto magico. La persone spera o si illude che evitando il luogo o la situazione in cui si è sentito male, potrà controllare e allontanare la paura della paura: “ se evito di guidare, non mi accadrà nulla, se non andrò al cinema non proverò ansia”. E’ lo stesso meccanismo della superstizione quando si attribuisce ad un numero, ad una certa circostanza, ad un colore, un’influenza negativa. Il vantaggio è che evitando la situazione carica di negatività, si ha l’illusione di allontanare la sfortuna.
Quale terapia?
Nella psicoterapia l’attenzione viene volta alle esperienze del soggetto sia della vita attuale che passata, i suoi sentimenti, i timori, le aspirazioni, le difficoltà e le capacità. Si analizzano inoltre le emozioni legate alla rabbia, all’ansia da separazioni da persone o situazioni che riguardano quindi sia esperienze passate che vissute nel presente. Come per l’ansia, l’obiettivo è di integrare l’aspetto cognitivo, fondamentale poiché ci aiuta a capire noi stessi, a quello affettivo conoscendo più a fondo i propri aspetti emotivi.
In molte situazioni i pazienti con disturbo da attacco d panico necessitano di una combinazione di terapia farmacologica e di psicoterapia.
A volte l’attacco di panico può rappresentare un modo doloroso di ascoltare una parte di se stessi o dell’altro finora sconosciuta, trascurata, poco ascoltata, un segnale che vuole essere colto. A volte è importante ammettere che evidentemente non ci si conosce abbastanza per affrontare la realtà della propria vita quotidiana. Le relazioni soprattutto quelle più stabili, sono strettamente coinvolte nelle problematiche di chi soffre di disturbo da attacchi di panico, la persona deve continuamente scegliere tra il bisogno di protezione da un mondo vissuto con ansia ed il bisogno di libertà, di indipendenza. Ciò comporta una spiccata tendenza a rispondere con paura e ansia, accompagnata da una riduzione più o meno marcata del comportamento autonomo, a qualsiasi perturbazione dell’equilibrio affettivo che possa essere percepita come perdita di protezione o perdita di libertà e indipendenza. Può essere quindi difficile trovare un equilibrio tra il desiderio di libertà, il bisogno di protezione che questo può comportare.
Spesso i pazienti affetti da DP si caratterizzano per un vero e proprio crollo dell’immagine di Sé, caratterizzato dal non riconoscersi più nell’essere la persona di prima. Sarà un obiettivo della psicoterapia reintegrare questa visione non corrispondente alla realtà della propria biografia personale e di se stessi( lavorando cioè sul falso sé).
Chi soffre di panico spesso, vuole evitare il dolore, tenere tutto immobile, sotto controllo, non vivere le emozioni È spesso è bloccato da un forte senso di responsabilità, non si lascia trasportare dal flusso degli eventi, fatica ad accettare i cambiamenti. Spesso le emozioni vengono represse, anche quelle più piacevoli per paura di perdere il controllo . Il paziente affetto da panico sovente non ama gli imprevisti.
Spesso le persone con disturbo di panico hanno degli ideali perfezionisti molto elevati, in tal senso il fallimento non è contemplabile. Sbagliare non è una possibilità prevista. Vi è spesso una esagerata responsabilizzazione che porta le persone a sentirsi angosciate lasciando posto alla rabbia, all’aggressività, alla insicurezza. Allo stesso tempo il paziente affetto da panico tende però a tenere fuori dalla coscienza e dalla sua vita queste emozioni negative poiché le vive come destabilizzanti. Le emozioni tenute così represse e sotto controllo emergono anzi esplodono nell’attacco di panico.
AGORAFOBIA
Che cos’è l’ Agorafobia?
L’agorafobia (dal greco, αγορά agorà, che significa e φοβία : paura, etimologicamente “paura della piazza“) è un insieme di varie paure che hanno principalmente per oggetto i luoghi pubblici e frequentati, dai quali potrebbe essere difficoltoso allontanarsi o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto nel caso che l’individuo venga colpito da un attacco di panico.
L’agorafobia è dunque la paura degli spazi aperti; l’agorafobico teme ogni luogo dove non si sente “sicuro” o non può “ricevere aiuto”. Chi soffre di questo tipo di disturbo di solito si rifugia nella sua casa e raramente esce, poiché in queste occasioni sente una gran ansietà, può avere inoltre la paura di andare per negozi a fare compere, la paura di ritrovarsi in mezzo alla folla e quella di viaggiare, temendo eventuali attacchi di panico. In questi casi si parla di disturbo di panico con agorafobia; tale disturbo è più comune tra le donne che tra gli uomini. Molto frequentemente nei 2/3 dei casi si vengono a strutturare quindi delle condotte d’evitamento, conseguenti al fatto che i pazienti associano gli attacchi di panico a situazioni o luoghi specifici. Evitando di restare soli, di allontanarsi da casa, di recarsi in luoghi affollati, ponti, tunnel, ascensori, autostrade, treni, o di usare mezzi pubblici, gli attacchi di panico diventano meno frequenti e più tollerabili. Si parla di agorafobia quando le limitazioni imposte dall’evitamento interferiscono con attività importanti della vita di tutti i giorni. Alcuni diventano completamente incapaci di uscire da soli o possono farlo solo in compagnia di una persona rassicurante nella quale ripongono particolare fiducia. Le condotte agorafobiche sono determinate sia dall’evitamento di situazioni specifiche sia dalla ricerca di elementi rassicuranti. I modi più frequenti mediante i quali è ricercata la rassicurazione sono: avere la possibilità di tornare velocemente a casa, essere con una persona di fiducia, sedersi vicino alle uscite, parlare tra sé.I pazienti agorafobici possono continuare ad avere attacchi di panico per anni, anche se la loro frequenza di solito si riduce con il progredire delle condotte d’evitamento.
Non è possibile indicare un’unica causa del disturbo di panico. Esistono, tuttavia, numerosi studi scientifici secondo cui uno specifico determinante psicologico renderebbe vulnerabili al disturbo. Tale fattore (che può a sua volta derivare da esperienze di vita sensibilizzanti e da una predisposizione biologica) è noto in letteratura con il nome di anxiety sensitivity e consiste in una speciale attitudine psicologica a considerare pericolosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali dell’attivazione neurovegetativa. A causa di tale sensibilità individuale, la comparsa (spesso del tutto occasionale e fisiologica) dell’ansia e dei suoi correlati psico-fisici è interpretata dal soggetto come grave minaccia incombente producendo un naturale incremento dell’ansia stessa e l’innesco di un circolo vizioso fatto di sensazioni legate all’attivazione neurovegetativa e interpretazioni catastrofiche delle stesse. Circolo vizioso che, in breve tempo, può esitare nel panico. Al ripetersi degli episodi di panico, la sensibilità all’ansia si rafforzerà rendendo sempre più probabile l’innesco del circolo vizioso sopra descritto e, con esso, la comparsa di nuovi attacchi.
I sintomi relativi all’agorafobia con Disturbo di Panico sono:
– ansia intensa
– sensazione di essere sospesi, come se venisse a mancare la terra sotto i piedi
– senso di smarrimento
– dispnea
– vertigini
In caso di attacco di panico vero e proprio invece la persona manifesta almeno quattro dei seguenti sintomi:
– palpitazioni o tachicardia
– sudorazione
– tremori
– sensazione di mancanza di respiro o di oppressione
– sensazione di soffocamento
– dolore al torace
– nausea o disturbi addominali
– sensazione di vertigini, instabilità, testa leggera o svenimento
– derealizzazione (senso di irrealtà) o depersonalizzazione (essere staccati da se stessi)
– paura di impazzire o di perdere il controllo
– paura di morire
– parestesie (alterazioni della sensibilità soggettiva che si manifestano in assenza di stimoli, come ad esempio formicolii, sensazione di essere punti da uno spillo, sensazione di freddo, calore o acqua che scorre all’interno del corpo)
– brividi o vampate
I sintomi dell’Agorafobia senza Disturbo di Panico sono simili a quelli dell’agorafobia con Disturbo di Panico, la differenza è che ciò che la persona teme non è l’attacco di panico, ma il manifestarsi di sintomi inabilitanti o estremamente imbarazzanti. Le situazioni più temute sono:
– perdita del controllo della vescica
– un attacco di diarrea improvvisa
– vomitare in pubblico
– paura di un attacco cardiaco in un contesto in cui nessuno è in grado di aiutarlo
In sintesi l’agorafobia è caratterizzata da:
• Ansia legata al trovarsi in luoghi in cui sarebbe difficile allontanarsi, fuggire oppure chiedere e ricevere soccorso, nel caso in cui si verificasse un attacco di panico o una crisi d’ansia.
• Le situazioni temute vengono evitate o affrontate con molta difficoltà oppure tramite il supporto di un accompagnatore.
• L’ansia e l’evitamento limitano il funzionamento socio-lavorativo del soggetto e non derivano da altri tipi di paura o fobie specifiche (evitare gli ascensori per un claustrofobico, evitare le situazioni sociali per il fobico Sociale, evitare stimoli che ricordino un evento traumatico nel disturbo post-traumatico da stress).
Quale terapia?
L’obiettivo della terapia è portare alla coscienza i conflitti (emozioni e motivazioni rimosse) in modo che possano essere affrontati più razionalmente e realisticamente. Durante la terapia inoltre è importante indagare come la fobia si inserisca nelle dinamiche relazionali del paziente. In ambito psicoterapeutico è importante lavorare sugli aspetti ansiosi e sui significati psicologici sottesi alla agorafobia di cui il paziente quasi sempre non è consapevole quali ad esempio:
– la paura di esporsi e di essere visibili
– le occasioni di incontri o di avventure di natura sessuale
– l’essere visti catturati
– andarsene da casa
– la morte di una persona molto cara mentre si è lontani da casa
– l’esperienza della nascita
– percepirsi nella propria solitudine
– l’aver abbandonato qualcuno di effettivamente caro
– il timore di essere esposti a pericoli di ogni genere
– vivere una situazione di indipendenza mentre altri non hanno questa possibilità
DISTURBO D’ANSIA INDOTTO DA SOSTANZE
Che cos’è il disturbo d’ansia indotto da sostanze?
La manifestazione essenziale di un Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze sono rilevanti sintomi di ansia, che si ritengono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza cioè una droga di abuso, un farmaco o l’esposizione ad una tossina. A seconda della natura della sostanza e del contesto in cui si manifestano i sintomi (cioè, durante l’intossicazione o l’astinenza), il disturbo può comprendere ansia rilevante, attacchi di panico, fobie o ossessioni o compulsioni. Sebbene la presentazione clinica del Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze possa assomigliare a quelle del Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia), Disturbo d’Ansia Generalizzato, Fobia Sociale o Disturbo Ossessivo-Compulsivo, non è necessario che siano soddisfatti pienamente i criteri per uno di questi disturbi. Il disturbo non deve risultare meglio gustificato da un disturbo mentale (per es., un altro Disturbo d’Ansia) non indotto da sostanze. La condizione non si manifesta esclusivamente nel corso di un delirium. I sintomi devono causare disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti . Dovrebbe essere posta questa diagnosi anziché quella di Intossicazione da Sostanze o Astinenza da Sostanze soltanto quando i sintomi di ansia sono eccessivi rispetto a quelli solitamente associati con la sindrome da intossicazione o con la sindrome da astinenza e quando i sintomi di ansia sono sufficientemente gravi da richiedere attenzione clinica indipendente.
Nel Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze i sintomi di ansia sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza come una droga di abuso, un farmaco o l’esposizione ad una tossina.
Il disturbo può quindi manifestarsi con i seguenti sintomi:
– sintomi di Ansia Generalizzata: se nel quadro clinico predominano ansia o preoccupazione eccessive riguardo a una quantità di eventi o attività.
– Attacchi di Panico: se nel quadro clinico predominano attacchi di panico.
– sintomi Ossessivo Compulsivi: se nel quadro clinico predominano ossessioni o compulsioni.
– sintomi Fobici: se nel quadro clinico predominano sintomi fobici.
Inoltre il Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze può presentarsi:
– Con Esordio durante l’Intossicazione ossia quando risultano soddisfatti i criteri per l’intossicazione con la sostanza e se i sintomi compaiono durante la sindrome da intossicazione.
– Con Esordio durante l’Astinenza ossia quando risultano soddisfatti i criteri per l’astinenza dalla sostanza e se i sintomi compaiono durante o subito dopo una sindrome di astinenza.
Dovrebbe essere posta questa diagnosi anziché quella di Intossicazione da Sostanze o Astinenza da Sostanze soltanto quando i sintomi di ansia sono eccessivi rispetto a quelli solitamente associati con la sindrome da intossicazione o con la sindrome da astinenza e quando i sintomi di ansia sono sufficientemente gravi da richiedere attenzione clinica indipendente.
Quali sono le principali sostanze che possono produrre un Disturbo D’Ansia Indotto da Sostanze?
Per quanto riguarda le sostanze, il Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze può manifestarsi in associazione con:
– l’intossicazione di alcol; amfetamine e sostanze correlate; caffeina; cannabis; cocaina; allucinogeni; inalanti; fenciclidina e sostanze di altro tipo o sconosciute.
– l’astinenza dalle seguenti classi di sostanze: alcool; cocaina; sedativi, ipnotici e ansiolitici e sostanze di altro tipo o sconosciute.
– i farmaci che evocano sintomi di ansia includono anestetici e analgesici, simpaticomimetici o altri broncodilatatori, anticolinergici, insulina, preparati tiroidei, contraccettivi orali, antiistaminici, antiparkinsoniani, corticosteroidi, farmaci antiipertensivi e cardiovascolari, anticonvulsivanti, litio carbonato, farmaci antipsicotici, e farmaci antidepressivi.
– anche metalli pesanti e tossine (per es, sostanze volatili come benzina, vernici, insetticidi organofosforici, gas nervini, monossido di carbonio, anidride carbonica) possono causare sintomi di ansia.
Quale terapia?
Nella situazione di Ansia indotta da sostanze, obiettivo della terapia è di individuare e distinguere l’ansia derivante da una sostanza dall’ansia endogena ( che appartiene alla persona ). L’asse della terapia si sposta quindi sull’ uso/abuso della sostanza che scatena i sintomi ansiosi.
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO (GAD)
Che cos’è il Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)?
I pazienti che soffrono di tale disturbo hanno una preoccupazione eccessiva riguardo a numerose situazioni e attività della vita quotidiana che non sono necessariamente pericolose, stressanti o problematiche.
In assenza di gravi e realistiche motivazioni, le persone con tale disturbo riferiscono sentimenti di apprensione circa la salute e l’incolumità fisica dei familiari, la situazione finanziaria, la capacità di rendimento lavorativo o scolastico. L’ansia è quindi eccessiva, intensa, difficile da controllare ed è spesso pervasiva toccando ogni sfera della vita delle persona. La qualità della vita viene fortemente compromessa e può colpire sia il soggetto stesso che i propri familiari.
Le persone con un disturbo di ansia vivono come fossero in un perenne allarme e sono ipervigili sempre pronti ad attendersi eventi negativi.
I sintomi più frequenti sono:
– respiro affannoso
– palpitazione
– sudorazione (particolarmente al palmo della mano)
– secchezza delle fauci
– sensazione di “nodo alla gola”
– di “testa vuota e leggera”
– vampate di caldo
– disturbi della sfera gastroenterica ( meteorismo, disturbi digestivi, nausea e diarrea)
– sintomi legati alla tensione muscolare (al capo, al collo e al dorso, e di conseguenza cefalee ) disturbo alla sfera muscolare ( tremore e/o -contrazioni e irrigidimenti degli arti superiori).
– sintomi della sfera cognitiva (ridotta concentrazione e della memoria, facile distraibilità e riduzione della vigilanza)
– disturbi del sonno ( insonnia iniziale, centrale o di sonno interrotto da frequenti risvegli)
Il Disturbo di Ansia generalizzato è da collocarsi in epoca giovanile, intorno ai 16-20 anni: tuttavia le modalità di esordio dei sintomi ansiosi, a differenza di ciò che avviene per gli attacchi di panico, appaiono sfumate, poco definite e scarsamente condizionanti la qualità della vita. Lavorando con il paziente possono riaffiorare ricordi lontani di modalità ansiose prima sottovalutate o dimenticate.
Va sottolineato come sovente il disturbo d’ansia è sovente associato con altri disturbi come l’ abuso di sostanze, compreso l’alcol e farmaci ansiolitici, antalgici o stimolanti il sistema nervoso centrale. Ed inoltre può esserci una concomitanza i disturbi dell’umore e con il disturbo dell’attacco di panico. Per quel che riguarda il disturbo dell’umore in particolare vi può essere una comorbilità nella depressione maggiore modificandone i sintomi e mascherandone talora la caratteristica principale, rappresentata dall’attesa apprensiva. Con l’approfondirsi del quadro depressivo l’inibizione ed il distacco affettivo possono prevalere sulla componente ansiosa. Si osservano così pazienti il cui ripiegamento melanconico induce a riferire frasi quali: “Sto troppo male: prima mi preoccupavo di tutto, ora non mi interessa più niente, capiti quel che capiti”.
Inoltre spesso il GAD appare associato a quelle forme depressive a decorso cronico corrispondenti al Disturbo Distimico.
Va inoltre evidenziato anche la grande componente ansiosa che spesso sottende i disturbi della condotta alimentare in prevalenza su modalità di sovralimentazione.
La prevalenza del disturbo d’ansia generalizzato nell’arco di vita è abbastanza elevato, dato che lo si riscontra nel 5% circa della popolazione generale. Esordisce tipicamente durante l’adolescenza, benché molte delle persone che ne soffrono riferiscano di averne sempre sofferto. Gli eventi di vita stressanti, sembrano avere qualche ruolo nella sua insorgenza e la sua frequenza è due volte maggiore fra le donne che fra gli uomini. Inoltre presenta un alto grado di comorbilità con altri disturbi d’ansia o con disturbi dell’umore.
Quale terapia?
Uno degli obiettivi della psicoterapia è quello di integrare il contenuto cognitivo con l’esperienza emotiva; capire la natura e l’origine dell’ansia può aiutare il paziente ad accrescere il senso di controllo, in modo da prevenire esplosioni di angoscia. L’approccio al paziente con ansia generalizzata può avvenire anche attraverso l’associazione di terapie farmacologiche, i farmaci possono essere anche considerati un coadivuante a breve termine. Il farmaco spesso usato come soluzione del problema dovrebbe essere usato come stampella, come facilitatore di un percorso di conoscenza di se stessi che permetta alla persona di tollerare l’ansia intesa quindi come un segnale significativo e non come una sensazione da eliminare del tutto. L’ansia può essere paragonata alla punta dell’iceberg in cui si intravedono solo i sintomi ma non la vera natura della paura che la genera e la alimenta.
Il lavoro psicoterapeutico è quindi finalizzato al riconoscimento di eventuali cause scatenanti, alla rassicurazione, alla risoluzione dei conflitti e alla messa in atto di strategie di adattamento da parte del paziente ( vedi ad esempio tra le altre le tecniche di rilassamento).
Dott. Monica Rupo
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