Scuola, scuola delle mie brame…chi ha più ragione nel reame?
Siamo al volgere dell’anno scolastico, ancora pochi giorni e la scuola per molti studenti finirà. Per altri studenti invece, arriva l’attesa per lo sprint finale della maturità e per i più grandi la sessione estiva degli esami universitari. Sovente mi è capitato di raccogliere le fatiche degli studenti, degli insegnanti e dei genitori che con ruoli e vissuti differenti, mi hanno raccontato uno spaccato della scuola italiana. Tutti convinti delle proprie ragioni, hanno spesso vissuti simili anche se in posizioni diametralmente opposte: la scuola viene percepita come stanca, demotivata, incapace, in cui tutti nei loro rispettivi ruoli alla fine si sentono tremendamente soli. Mai come quest’anno la cronaca ha acceso molto spesso i riflettori su gravi episodi di violenza ed aggressività avvenuti all’interno delle istituzioni scolastiche. Un susseguirsi di episodi aggressivi da parte di ragazzi contro ragazzi, di ragazzi contro i professori, di genitori contro i professori, di maestri su bambini. In sintesi un tutti contro tutti. Certo è molto più difficile raccontare la buona scuola, sicuramente quella più rappresentativa.
La riflessione di questo articolo riguarderà gli aspetti che non funzionano con il proposito di riflettere su come migliorare il patto educativo tra le varie istituzioni che hanno come fine il bene dei nostri ragazzi, prendendo a prestito le parole di un proverbio cinese: “Se i tuoi progetti hanno come obiettivo un anno, pianta del riso, 20 anni pianta un albero, un secolo insegna a degli uomini”
Fotografie dunque, in cui sono impresse immagini di insegnanti stanchi alle prese da una parte da mille aspetti burocratici, progetti, siglature, corsi di formazione continua, dall’altro alle prese con studenti che non riconoscono più loro l’autorevolezza ed il rispetto dei tempi passati, sempre più spesso alle prese con genitori che faticano nel veder valutati i propri figli. Studenti nuovi con metodi di insegnamento che richiedono più capacità relazionali che didattiche. Fotografie di genitori che non riconoscono più nel docente l’unico depositario del sapere, spesso visto o meglio raccontato come svogliato, non competente, ingiusto (vedi l’incubo delle chat di gruppo in cui molti genitori discutono e spesso litigano proprio sulle competenze dei docenti). Infine fotografie di studenti alle prese con il nuovo sé sociale, intriso di delicati e fragili rapporti con il gruppo dei pari ed il bisogno di riconoscimento a 360° che si frantuma trasformandosi in frustrazioni dinanzi a valutazioni, voti, regole. Scuola che chiede all’aumentare dell’età, sempre più attenzione e impegno che vengono però vissuti come un ostacolo a ciò che interessa davvero. Spesso i ragazzi di oggi riportano all’interno della scuola non solo il ruolo di studente ma quello di adolescente con tutto ciò che questo implica: richiesta di attenzione, relazioni privilegiate, difficoltà nell’accettare un giudizio, laddove un voto negativo viene spesso vissuto come una svalutazione, una critica alla propria identità, un vero e proprio attacco al sé. É importante quindi continuare a focalizzare l’attenzione sulla funzione che la scuola deve avere per la crescita non solo culturale, ma anche educativa dei giovani: “La scuola è il nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che si preparano ad affrontarlo” (Malcolm X.) Non giova quindi la contrapposizione tra le figure adulte che a vario titolo sono impegnate a svolgere la funzione educativa; poiché si rischia di non favorire un processo di crescita che non riguarda solo l’apprendimento, ma la crescita educativa, emotiva, relazionale, sociale, etica, morale, che sono il fondamento di una civiltà. Riprendendo le parole di Erich Fromm (psicoanalista) concludo con questo spunto: “Perché la società dovrebbe sentirsi responsabile solo per l’educazione dei figli, e non per l’educazione di tutti gli adulti di ogni età?”